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venerdì 12 settembre 2014 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 12 settembre 2014

La forza del destino: proprio lui Obama, il presidente dei ritiri unilaterali e del discorso del Cairo, Premio Nobel per la Pace, che a tredici anni dalle Twin Towers dichiara guerra ai terroristi dell'ISIS: "Li distruggeremo dopo averli consumati" ha detto. Ma la faccia era smunta. Obama, oratore eccezionale, ha tenuto stavolta una lettura scolastica di un discorsetto di un quarto d'ora, definendo tuttavia una svolta coraggiosa: essa consiste nel portare i soldati, detti "consiglieri"da 1600 a 2075, nel bombardare anche la Siria e non solo l'Iraq, nel riaffermare la leadership contro il terrore. Barak è stato attento a mantenere il suo stile, a non trasformarsi in George: niente stivali sul terreno, la coalizione non sarà fatta di chi si vuole unire agli USA, ma di partner.

Funzionerà? Che ci voglia molto tempo lo dice anche il presidente, ma una frase all'inizio rappresenta un problema strategico: Obama vi afferma che "l'ISIS non è islamico", compie una rivista approssimativa della storia dell'organizzazione terrorista e dei suoi crimini più orribili. La loro disumanità secondo Obama rende impossibile che questo gruppo di belve appartenga a una religione. Ma Obama nel porgere la mano all'Islam di fatto ne rende tacita e imbelle la parte moderata, che dato che l'altro "non è Islam", non è chiamata a combattere, a uscire fuori, per affermare che l'Islam vero è moderato. E in secondo luogo, impedisce la vittoria sul terreno, che è internazionale.

Prendiamo le parole di un marocchino convertito, studioso di Islam, che si fa chiamare per prudenza Brother Rashid. Rashid spiega con semplicità che non c'è fra l'amplissimo numero di giovani arruolati da Isis, Jabat al Nusra, Shabaab, al Qaeda... nessuno che non sia musulmano, che per contro nessun cristiano o ebreo ha mai scelto le loro metodologie. Rashid, come molti altri esperti, spiega che l'interpretazione di ISIS è persino troppo aderente ai testi, alle Sura, agli Hadith: tutto, dal tagliarsi i baffi e non la barba, agli abiti, al rapire le donne e impalmarle, a eliminare il miscredente, è una scelta filologica che vuole restaurare il tempo di Maometto: il mondo tornerà, anzi, è già tornato, al califfato, alla sharia pura, alla jihad permanente, all'eliminazione degli infedeli, alla grande avventura cui si sentono chiamati giovani di tutto il mondo contro un universo, il nostro, che ai loro occhi ha sempre perseguitato l'Islam.

Anche la crudeltà estrema e la piena disponibilità alla morte sono parte di un bagaglio religioso, che certo i taciti moderati non condividono. Obama nel negare l'appartenenza islamica ignora dunque un punto strategico di fondo: ormai sono migliaia i ragazzi che nei nosti Paesi cercano la grande avventura nell'Islam, nel califfato, in un mondo nuovo, si sentono perseguitati dalla nostra civiltà: questi giovani, che vengono dall'Inghilterra, dalla Francia, dall'Italia, molti provenienti dai Balcani, entrano in infrastrutture pervasive: moschee, madrasse, centri culturali e di ricreazione, network sociali che insegnano i testi, la jihad. Anche l'India, la Malesia, Singapore, le Maldive, le Filippine ingrossano le fila della jihad.

Spesso i centri di reclutamento sono finanziati con denaro di stati islamici, e organizzanoil passaggio per la Turchia da cui si va in Siria, e più avanti rimpatrieranno i terroristi. Certo, non si può spedireun drone contro nessuna moschea europea, ma noi, i grandi globalizzatori, dobbiamo dunque riconoscere che questa battaglia non si fa solo in Iraq e in Siria, ma a casa nostra e nel mondo.

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