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« O me e la pace, o Sharon e la guerra» Barak: tra noi due uno scontro fatale per questo Paese

mercoledì 31 gennaio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME MENTRE i palestinesi fanno sapere che un summit Barak-Arafat si terrà domenica prossima a Sharm el-Sheikh grazie ai buoni uffici del Segretario generale delle Nazioni Unite (e dal Palazzo di Vetro arriva il riscontro del portavoce di Kofi Annan), Ehud Barak non conferma, ma neppure esclude la possibilità che questo avvenga. Il soldato più decorato d’ Israele, il primo ministro che ha fatto le concessioni più monumentali della storia del suo Paese, ancora è in pista. Teso e pallido, gli occhi gonfi, il suo tono durante l’ incontro con un gruppo di giornalisti stranieri è deciso : più che i venti punti di distanza da Sharon, per cui solo un miracolo sembra potergli dare la vittoria alle elezioni del 6 di febbraio, brucia dentro di lui la missione di pace che non è riuscito a portare a termine. E il rischio Sharon: per lui l’ ombra di « Arik» come primo ministro è un’ eventualità catastrofica. Dopo di me un vero diluvio, quello della guerra, ci dice Ehud Barak a una settimana netta dalle elezioni. Signor primo ministro, incontrerà Arafat? C’ è ancora spazio per una trattativa? E quale? « Non c’ è niente di fissato, ma alcuni personaggi di statura internazionale cercano di organizzare l’ incontro. Se ci saranno risultati positivi, vedremo» . In ogni caso, a che servirebbe un accordo se Sharon è destinato a vincere? « Una cosa alla volta: Sharon ed io non stiamo partecipando a un concorso di bellezza, ma a uno scontro fatale. E credo che l’ unico vero sondaggio avverrà il 6 di febbraio, che i giochi non siano fatti: questo venerdì finalmente sarà chiaro che l’ alternativa è secca» . Niente Shimon Peres, anche se potrebbe battere Sharon? « L’ alternativa è secca, ripeto.. allora ci sarà un risveglio: o cercare la pace, sia pure con penose e terribili concessioni, trattando con un leader difficile come Arafat, oppure un estremista pericoloso come Sharon, uno che ha portato la guerra del Libano a un punto che per tirarcene fuori abbiamo dovuto perdere migliaia di ragazzi, e ci siamo restati infognati tredici anni» . Signor Barak, le sue proposte di pace non sono state accettate. Intende vedersele rifiutare di nuovo dai palestinesi, nel caso quasi impossibile che lei vinca le elezioni? « In me vive un imperativo irrinunciabile: evitare il deteriorasi della situazione, mantenere lo Stato democratico, sionista, che non vuole a nessun costo dominare un altro popolo con la forza, e che vuole prima di tutto salvare la vita dei suoi ragazzi. Moshe Dayan diceva: “ Meglio Sharm el-Sheikh senza pace, che la pace senza Sharm el-Sheikh” . Ma se seppellisci un ragazzo di vent’ anni, sai benissimo quello che è meglio» . Ma se un accordo non fosse possibile? « Se non sarà possibile un accordo negoziato che comprenda la rinuncia sostanziale al diritto al ritorno dei profughi che distruggerebbe dall’ interno lo Stato d’ Israele, la conservazione di un blocco di insediamenti che ne elimini altri, un sistema di difesa a Est, la sovranità d’ Israele sul Monte del Tempio...» . Esclusiva? « Questo è da definire. Se tutto ciò non sarà possibile, dicevo, allora, come in Libano, prenderemo iniziative di pace unilaterali che consentano a palestinesi e israeliani di vivere fianco a fianco, due nazioni, due Stati» . E se lei perde? « Avremo un leader incapace di esercitare il senso del limite, un Paese che manderà i suoi figli a combattere e morire per qualche insediamento isolato, che avrà un gruppo di ultraortodossi antidemocratici associati alla gestione del potere... Un incubo che gli israeliani sapranno evitare» . Che errori ha compiuto, signor Barak, per arrivare a questo punto? « La pace non si fa da soli. Noi non abbiamo lasciato nessuna strada intentata. E ne cercheremo di sempre nuove» . Qual è il suo merito storico? « Il bagno di realtà che abbiamo compiuto lasciandoci dietro illusioni e fantasmi. Queste sono le loro richieste, questi i nostri limiti, queste le conclusioni cui si arriverà comunque, se si vorrà fare la pace. La pace dei bravi, non degli struzzi» .

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