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NON TEMERE LA PACE

domenica 5 settembre 1993 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME QUANDO con voce bassa e piana Shimon Peres ha dato dei pale stinesi una definizione lapalissiana dicendo: noi sapeva tuttavia di toccare il punto nevralgico della coscienza israeliana. Sapeva che la conquista dell’ opinione pubblica alla causa della pace passa in modo puro e semplice per l’ acquisizione di un punto di vista relativo, che collochi il nemico nella storia del popolo ebraico oggi, e non nella spirale del destino. Un’ impresa ardua per un popolo la cui memoria collettiva è stata per duemila anni l’ unica patria, tanto che nel giorno del 9 di Av ancora la gente piange, buttata per terra sulle pietre di fronte al Muro del Pianto, la distruzione di Gerusalemme del 70 d. C. L’ intellighenzia israeliana è avvinta di nuovo in un difficile corpo a corpo con se stessa. Riuscirà , si chiede, il popolo israeliano a credere finalmente che il palestinese non sia soltanto , colui che si vuole infilare al tuo posto, nella tua casa, nel tuo letto, sulla tua terra? E più ancora che egli non è colui che esiste se tu non esisti e viceversa? Che non è solo un inganno quasi ispirato geneticamente quello che Arafat sta tramando, ovvero che al di là dei progetti e perfino delle stesse aspirazioni politiche, oltre l’ autonomia si affaccia non solo lo Stato palestinese, carico di terrorismo, ma anche una nuova guerra per conquistare Israele tutta intera, infine, e farne terra bruciata per gli ebrei? È commovente vedere in questi giorni lo sforzo di gran parte degli israeliani per andare oltre la demonizzazione dell’ avversario. ha scritto la storica Idit Zertal. È tempo di diventare altri. E inizia la sua strada citando il monologo di Shylock, il controverso ebreo shakespeariano: non abbiamo anche noi paura come voi? Non soffriamo le stesse malattie dei gentili? Non il freddo, il caldo, la fame? Non esce sangue rosso dalle nostre ferite? Così facendo la Zertal allude al dovere per l’ ebreo d’ oggi di riconoscere nell’ altro il proprio simile. Per l’ immaginario collettivo israeliano trattare con i palestinesi è ben più arduo che con qualsiasi altro arabo, più che con gli egiziani con cui è stata raggiunta la pace; più che con i siriani o con i giordani, che possiedono un vero esercito in carne ed ossa. I palestinesi hanno tirato fuori con l’ Intifada la paura e la debolezza di chi diviene preda della sua propria aggressività . Hanno più di ogni altro evento storico fatto sentire agli ebrei che non esiste elezione nella santità , nella democrazia, nella giustizia, che si può provare odio e aggressività fino ad agire senza controllo di se stessi. Oltre a questo Israele è in gran parte abitata dai figli di sopravvissuti dell’ Olocausto; è a buon diritto la terra che porta l’ eredità dei superstiti, e con questa santa eredità ha ricevuto anche quella della convinzione di una persecuzione metafisica, per cui oggi i palestinesi agli occhi di molti incarnano la discendenza di Hitler. E su questo come su molti altri ostacoli mentali alla pace oggi Israele dibatte freneticamente. C’ è da considerare bene poi che dal 1964, quando fu fondata in Egitto l’ Olp, essa non ha risparmiato a Israele attacchi terroristi terribili, attacchi che non si contano a centinaia ma a migliaia, molti dei quali contro civili, scolaresche, aerei di compagnie di qualsiasi nazionalità , atleti, bagnanti nudi sulla spiaggia. E la Carta dell’ Olp che pure Arafat ha dichiarato ripetutamente di considerare già modificata nelle parti che esprimono la volontà di cancellare lo Stato d’ Israele, pure fino a una riunione del Consiglio nazionale palestinese per ora non avvenuta resta attuale. Più ancora quello che brucia alla coscienza democratica di Israele, è che, nonostante l’ eccellenza degli intellettuali palestinesi rispetto a tutti gli altri del mondo arabo, per ora non si vede all’ orizzonte nessuna crisi di coscienza che spinga ad accettare come esseri umani, come vicini, gli ebrei d’ Israele, che invece sono ormai da molti decenni coperti di una pubblicistica palestinese oltraggiosa e anche apertamente antisemita. Non si può dire, per ora, se gli israeliani di buona volontà condurranno la maggioranza del Paese a considerare i palestinesi come un possibile vicino nemico, come un interlocutore ostile, ma reale. Si può però affermare che la destra ha perso comunque e di fatto l’ egemonia guerriera del Paese quando lo ha consegnato con elezioni democratiche a Yit zhak Rabin. Israele non si vede più come un Paese che ripone la sua identità nella Terra. Il sogno della Grande Israele è tramontato da un pezzo. Resta, o forse torna, il sogno dell’ Uomo israeliano. Prima gli ebrei, e giustamente, dovettero imparare dalla storia la dura lezione che per sopravvivere non dovevano aver paura di combattere, di impugnare le armi. I loro padri non lo sapevano. Adesso devono imparare una lezione completamente nuova: non devono aver paura della pace. ha scritto oggi Shlomo Ben Ami, il professore di Storia che probabilmente prenderà il posto di Eliahim Rubinstein ai colloqui di pace, Giacobbe, dice la Bibbia, ma non temere la Pace. Fiamma Nirenstein

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