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NON E’ LA PRIMA VOLTA CHE NEI TERRITORI OCCUPATI SI ENFATIZZANO EPIS ODI DI VIOLENZA CHE NON E’ MAI STATO POSSIBILE VERIFICARE ACCURATAMENTE In cerca dell’ icona per la terza Intifada

mercoledì 14 giugno 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Dunque, non è stato un proiettile israeliano, ma una mina palestinese, secondo un’ accorata conferenza stampa del ministro della difesa Amir Peretz e del capo di stato maggiore Dan Halutz accompagnati di fronte ai giornalisti da tecnici con cartine e foto.La bambina che, superstite disperata della famiglia Rhalia, grida « papà » sulla spiaggia di Gaza, sangue e distruzione intorno alla sua immagine piena di tragica grazia, mentre i capelli neri volano nel vento caldo, era già divenuta un’ icona, ancora una volta, della crudeltà di Israele. Con la musica e il rallentatore, le televisioni arabe l’ hanno mandata in onda da venerdì quando un’ esplosione uccise sette persone della stessa famiglia in vacanza al mare, e subito Israele venne ritenuta responsabile. Le reazioni di tutto il mondo sono state durissime. Ma sembra che si sia corsi a conclusioni troppo veloci. Anche le immagini di Mohammed Al Dura all’ inizio dell’ Intifada delle Moschee, nel settembre del 2000 furono usate come una bandiera, ed ebbero la stessa sorte. L’ immagine del bambino di 12 anni riverso nelle braccia del padre divenne il simbolo del periodo più sanguinoso della guerra fra Israele e i Palestinesi. Allora gli israeliani si scusarono subito,per poi, nei giorni successivi, scoprire molti dati balistici che misero in evidenza che quella morte era con tutta probabilità frutto del fuoco palestinese ed era anzi del tutto possibile che molti elementi della scena ripresa da un cameraman arabo al servizio delle tv francesi, fossero adulterati. I palestinesi non lasciarono mai esaminare le pallottole, e il bambino è rimasto l’ immagine guida dell’ ideologia del martirio. Venerdì Ehud Olmert, di fronte al grido di biasimo del mondo intero per la strage di Gaza, è stato cauto: ci dispiace molto, ha detto, ma l’ esercito israeliano non avrebbe mai sparato su civili volontariamente: « E’ l’ esercito più morale del mondo, e quando spara difende il suo popolo dalla pioggia di Kassam» . Anche ieri Peretz ha detto: « Il dolore per la morte dei civili resta anche nostro; la responsabilità , invece, non è nostra!» .Da allora una commissione di esperti ha lavorato su foto e residui di esplosivo, e adesso il racconto è tutto nuovo: la strage è stata causata da una mina palestinese nascosta nella sabbia in funzione antisraeliana. Le prove: l’ esercito aveva già sospeso il fuoco da dieci minuti quando la spiaggia è stata colpita; i proiettili della marina di 76 millimetri, dell’ esercito di 155 millimetri e i missili dell’ aviazione forniscono l’ informazione esatta sul luogo colpito, e non ha a che fare con la spiaggia della tragedia; gli uomini di Hamas hanno pulito velocissimi la spiaggia da tutti i residui dell’ esplosione senza aspettare la polizia, ma piccole schegge sono state reperite nel corpo di una dei tre feriti curati all’ ospedale Hadassa a Gerusalemme; si sa da informazioni di intelligence che nelle ultime settimane la spiaggia era stata minata; in base a foto il cratere sembra creato da un’ esplosione sotto la sabbia e non piovuta dall’ alto. L’ attacco di ieri nella via Salah ha Din di Gaza è stato di nuovo considerato da Hamas una dichiarazione di guerra che grida vendetta. Ma la realtà è che una guerra, forse una Terza Intifada, è già in atto. Purtroppo con il coinvolgimento di civili, anche ieri tuttavia il gruppo della Jihad Islamica colpito da Israele portava con sè , diretto al luogo di lancio passando per affollate vie cittadine, alcuni Kassam e una Katiusha Grad, un razzo di maggiore gittata capace di arrivare oltre Sderot, fino alla città di Ashkelon, sede di raffinerie; dalle immagini che mostrano gli uomini intorno all’ auto colpita portare via, nel sangue eppure con estrema cura, la grande Katiusha, si capisce quanto stia a cuore la preziosa arma. Cercare di fare della famiglia Rhalia un’ icona della lotta è stato un segno di svolta, di un consolidamento strategico deciso da Hamas proprio alla vigilia delle decisioni sul referendum di Abu Mazen. Il referendum, lo dice continuamente il primo ministro Ysmail Hanje, e l’ ha ripetuto da Damasco Abu Marzuk, uno dei capi all’ estero, Hamas non lo vuole e ieri Aziz Dwek presidente del Parlamento ha accusato Abu Mazen di essersi trasformato in portavoce degli israeliani e di voler affossare il governo; per evitarlo, Hamas vuole una rapida escalation della battaglia; fino ad ora restava un passo indietro lasciando fare a organizzazioni collaterali. Adesso, è proprio Hamas secondo i servizi israeliani, ad aver approntato un centinaio di rampe di lancio per missili Kassam nel tempo della tregua. Se ne vedono i primi risultati in un attacco senza precedenti: solo dall’ inizio del week end sono stati lanciati sulla città di Sderot un’ ottantina di missili Kassam. Ma il governo seguita con la sua strategia: eliminazioni mirate sulle cellule in movimento, niente azioni di massa. Amir Peretz, ministro della difesa e capo del partito laburista, dopo l’ incidente della spiaggia di Gaza ha fermato il fuoco di sbarramento, e ha dato due giorni a Hamas per ripensarci. Israele non vuole rientrare a Gaza, vuole che smettano gli spari, dice Peretz. E vuole che Abu Mazen si faccia avanti col referendum. Ma tutti, destra e sinistra, si preparano ad affrontare una situazione inusitata, esercito compreso. Hamas, di fatto, il referendum di Abu Mazen e dei prigionieri palestinesi che riceve circa l’ 80 per cento dei consensi, lo vuole vincere sul campo di battaglia con Israele, prima che avvenga. E così lancia la sua campagna attaccando Israele, la stessa strada che gli ha consentito di vincere le elezioni.

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