Fiamma Nirenstein Blog

NO A OGNI INIZIO DI PACE Una Jihad contro Abu Mazen

martedì 6 dicembre 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein Anche se la gente urlava, e si scansava mentre la poliziotta rincorreva il ragazzo con lo zaino e gridava « attenzione, terrorista!» , nessuno gli ha sparato. Dopo tanti anni di attentati pure le giovani guardie sulla porta, come tante altre volte in cui il muro di difesa è stato il loro corpo, hanno cercato di fermare l’ assassino trattenendolo con le mani. E adesso le loro vite sono perdute, e sulla facciata del palazzo gli schizzi di sangue arrivano a un’ altezza incredibile. Da quel momento alle 11,30 di mattina, il governo di Israele è in riunione con i militari e ciò che esce da dietro le porte, è la decisione di aumentare la pressione sui terroristi anche rinnovando le eliminazioni mirate, la distruzione di edifici, la stretta intorno alle zone sospette come quella di Jenin e di Tulkarem. Non resterà uno dei tanti attentati quello che ieri ha colpito per l’ ennesima volta la cittadina costiera di Natanya e per la quarta volta il Centro acquisti: è possibile che esso segni una svolta nella guerra contro il terrorismo proprio come la segnò l’ attacco all’ Hotel Park il 27 marzo 2002. Allora quello che indusse Sharon all’ operazione Scudo di Difesa fu il numero di uccisi (30) durante la cena di Pasqua, dopo più di un anno di grandi attentati continui. Ma adesso ci sono nuovi motivi che possono spingere Israele a una reazione decisa, ma stavolta tutta mirata sulla Jihad Islamica, l’ organizzazione responsabile di tutte le ultime stragi importanti. Fece 6 morti a Hedera il 26 ottobre; colpì la stazione centrale di Beersheva il 28 agosto; il 21 luglio fece sempre a Netanya 5 morti; e il 5 febbraio uccise cinque persone nel pub Stage di Tel Aviv. La Jihad Islamica è oggi al cuore del problema della sicurezza di Israele e anche di Abu Mazen. Al momento, lo è più ancora di Hamas, che vuole partecipare alle elezioni del 25 gennaio prossimo e cerca di arrivarci senza perdere uomini e senza che Abu Mazen prenda finalmente la decisione di disarmarlo con la forza. Il problema della Jihad Islamica ha due aspetti. Il primo è il fatto che, al contrario di Hamas, che rende conto al consenso o al dissenso della massa dei suoi adepti, la Jihad Islamica risponde a un’ agenda tutta interna, machiavellica, decisa a distruggere lo Stato d’ Israele, a uccidere quanti più ebrei, convinta di incarnare la volontà di Dio. Non ha firmato nessuna tregua, non ha intenzione di partecipare alle elezioni palestinesi, perché le ritiene frutto delle scelte di una leadership, quella di Abu Mazen, di fatto minata dall’ apostasia antislamica, e comunque corrotta e venduta al nemico. Preferisce proclamare che il suo scopo è la vendetta per l’ eliminazione di alcuni dei suoi uomini. In secondo luogo, la Jihad Islamica è eterodiretta, la sua leadership sta a Beirut, la sua fonte di ispirazione, di armi, di ordini, sono gli Hezbollah, e quindi di fatto il loro faro e il loro aiuto, secondo tutte le fonti, è l’ Iran, con un passaggio siriano. Dopo lo sgombero di Gaza, in alcuni casi in contatto con Hamas e in certi casi anche con le Brigate di al Aqsa, lo sforzo maggiore della Jihad Islamica è trasferire le strutture logistiche del terrore, armi e uomini, da Gaza in Cisgiordania, e distruggere quegli spunti di pace che possono nascere dallo storico evento. L’ attentato di ieri è fatto apposta per minare la svolta dell’ unione fra Sharon e Peres che può spingere per un ritorno alla Road Map, e anche per alimentare il peggiore dei sentimenti popolari che colpisce la leadership di Abu Mazen, quello che appoggia la violenza e sostiene il terrorismo suicida.

 Lascia il tuo commento

Per offrirti un servizio migliore fiammanirenstein.com utilizza cookies. Continuando la navigazione nel sito autorizzi l'uso dei cookies.