Netanyahu show in tv: "L'Iran ha mentito, vuole cinque atomiche"
martedì 1 maggio 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 01 maggio 2018
Su un palcoscenico su cui erano state poste le copie dell'archivio atomico che, con mitologica abilità, il Mossad ha trafugato da Teheran e ha trasportato a Gerusalemme, 55mila pagine, 183 dischetti, mezza tonnellata di materiali, Benjamin Netanyahu ha ieri sferrato uno spettacolare fendente contro lo Stato Islamico. "In questi materiali", ha detto in inglese perché il mondo lo capisse bene, "c'è il programma segreto, sempre negato, per costruire la bomba atomica iraniana". Certo, in linea di massima tutti sanno che l'Iran aveva seguitato ad arricchire l'uranio per i venti anni in cui ha seguitato a negarlo: ma nessuno aveva mai visto, nero su bianco, come il piano conservato in archivio nel distretto di Shorabad mettesse in fila, proprio mentre sia Khamenei che Zarif dichiaravano di non avere intenzione di costruire l'atomica, tutte le sue tappe: dalle centrifughe ai mezzi balistici di trasporto, all'espansione della gittata dei missili nucleari, all'integrazione delle testate con i missili, al piano di sperimentazione nucleare per il quale erano state identificate tre zone in Iran. Si chiamava "Progetto Amad" ed era diretto da Mohser Fahrizadeh. E questo nome, ha fatto notare Netnayahu, è oggi di nuovo sulla cresta dell'onda del progetto di sviluppo energetico SPNN. In una parola, Bibi ha ripetuto: l'Iran mente, ha mentito, mentirà. E adesso che il mondo sta riconsiderando l'accordo, sa come questo sia sfacciatamente avvenuto.
Ieri mattina intanto, persino i sismografi hanno vibrato segnalando un terremoto. E'di ieri notte un'incursione misteriosa, attribuita da fonti svariate a Israele oppure a missili americani e inglesi situati di là dal confine giordano. L'obiettivo: svariati depositi d'armi nei dintorni della città siriana di Hama; si parla di una "palla di fuoco" gigantesca, di 26 morti e 60 feriti, e fra i morti ci sarebbero 17 membri della Guardia Rivoluzionaria iraniana. Sono loro i gestori della ennesima base militare costruita in Siria con l'appoggio Russo e il sostegno degli Hezbollah per mantenere al potere Bashar Assad. Si sa che Israele ha già usato i suoi jet e i suoi missili in più di 200 operazioni per impedire che l'Iran e gli Hezbollah situino in Siria basi destinate a cambiare l'equilibrio fra Israele e l'Iran. Israele ha giurato che lo impedirà: l'8 di aprile, dopo che l'Iran aveva compiuto la sua provocazione più patente, spedendo sul cielo israeliano un drone carico di esplosivo, aveva distrutto la base T4, destinata a droni e altre armi gestito dalle milizie degli Ayatollah, facendo 7 morti. L'Iran ha giurato vendetta, e mentre probabilmente la prepara, ecco un nuovo attacco contro un altro, grande deposito d'armi. Da parte iraniana, come per altro da parte siriana, non si da la colpa a nessuno; gli iraniani tacciono, e nonostante nei giorni scorsi Khamenei abbia annunciato che ormai ad ogni attacco corrisponderà una risposta e che l'Iran difenderà sempre i suoi amici (ovvero Assad).
L'Iran appare confuso, certo l'ultima sventola di Netaynahu non gli chiarisce le idee: mancano due settimane al momento in cui, il 12 di maggio Donald Trump farà sapere al mondo se ha deciso di annullare l'accordo dei P5 più 1, e di tornare alle sanzioni. Una decisione che balena fatale per il regime degli Ayatollah, dove la crisi economica è rampante e la frattura interna pesante, sia con la popolazione che seguita, appena il regime lascia uno spazio vuoto, a dimostrare il suo dissenso nelle strade, sia alla sua testa: da una parte Rouhani vorrebbe che la dimensione imperialista fosse tenuta un po’ più a bada, che i morti all'estero e la spesa in truppe sparse per il Medio Oriente lasciassero spazio a una più oculata politica interna, e che questo consentisse una migliore trattativa con Trump e soprattutto con gli europei; dall'altra l'ispirazione messianico religiosa e gli interessi delle Guardie della Rivoluzione spingono entusiasticamente a operazioni militari verso il dominio sciita del mondo. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo l'ha detto chiaramente nel suo giro che si è concluso ieri in Giordania, dopo una visita all'Arabia Saudita e una a Israele: "Cancelleremo l'accordo se non si riesce a trasformarlo".
E qui diventa fondamentale l'incontro, programmato in queste ore, fra il Presidente francese Macron e il Presidente iraniano Rouhani. Macron, che ha visitato Trump nei giorni scorsi seguito a ruota da Angela Merkel, ha decisamente cambiato la sua posizione di duro critico della scelta abolizionista di Trump, diventando di fatto il mallevadore di un cambiamento completo: l'ha annunciato durante un discorso al Congresso, in cui ha detto che anche secondo lui l'accordo non va affatto bene. Sono quattro i pilastri, ha detto, che devono sorreggerne una nuova versione: l'abbandono della posizione di conquista imperialista in Medio Oriente; il divieto di costruire e usare missili balistici e veicoli in grado di trasportare armi atomiche; la cancellazione della clausola di "sunset", quella che consentirebbe di riprendere l'arricchimento dell'uranio dopo dieci anni; e le norme di accesso alle agenzie addette per verificare che il trattato sia veramente osservato.
Israele ha detto la sua. Queste due settimane di maggio sono piene di punti interrogativi: il 12 l'appuntamento con la decisione di Trump, il 14 l'anniversario dello Stato Ebraico in cui gli USA trasporteranno l'ambasciata a Gerusalemme, il 15 il giorno della Nakba, ovvero il disastro come lo chiamano i palestinesi. Sul confine di Gaza un drappello di tre terroristi che hanno cercato di penetrare in Israele è stato fermato col fuoco. Tutto il Paese potrebbe essere scosso dalla furia di dimostrazioni, mentre gli americani presentano il loro piano di pace, di cui si sa poco.
Gli inviati di Trump cercano di convincere Abu Mazen ad ascoltare le proposte che lui stesso ha definito: "Un prezzo che Israele dovrà pur pagare". E' probabile che sull'onda delle vicende coreane, così incredibilmente fortunate, Trump speri di diventare un candidato sorprendente eppure ovvio, del premio Nobel per la Pace.