NEMICI DELL’ ACCORDO: SHARON, AL FATAH E GLI ISLAMICI « Beilin vuole sv endere la sovranità di Israele» Il vicepremier Olmert: « E’ stupefacente in una democrazia che a negoziare sia un individuo che non ha avuto alcuna delega»
martedì 2 dicembre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
E adesso che il mondo ha avuto qualche ora di ricreazione dal
conflitto
israelo-palestinese con la cerimonia della firma della pace di Yossi
Beilin
e di Yasser Adeb Rabbo a Ginevra restano la realtà del conflitto e le
molte
critiche, sia in campo israeliano che dalla parte palestinese. La
realtà
quotidiana comporta la fatica del lavoro diplomatico di costruire un
incontro fra Sharon e Abu Ala, la spola dell’ inviato americano Burns
perché
si riprenda a parlare, in quella sede, di Road map; comporta la
mediazione
egiziana al Cairo dove sta per svolgersi un difficile incontro fra
tutte le
organizzazioni palestinesi per stabilire i termini di un cessate il
fuoco:
l’ accordo deve piacere a Hamas, Jihad, Brigate di Al Aqsa, ma
soprattutto a
Abu Ala, ovvero ad Arafat, il Raí ss senza il quale nulla è possibile.
La realtà è fatta anche della sotterranea convinzione da parte del
Dipartimento di Stato Americano, che si prepara a invitare Beilin e
Abed
Rabbo a Washington, che una forte opposizione a Sharon, un forte
imbarazzo
creatogli in campo internazionale, aiuti la pace della zona, anche se
Bush
non la pensa così .
La realtà tragica è anche l’ operazione di Ramallah di ieri che ha
demolito
la casa di un terrorista che aveva totalizzato una ventina di
organizzazione
di attentati e che preparava il prossimo con armi letali che sono
state
trovate, ma anche la tragica uccisione di un bambino di nove anni nel
corso
dell’ azione militare proprio nelle ore della cerimonia di Ginevra. In
questo
clima l’ operazione Ginevra morde come il fuoco, suscita approvazione
o furie
terribili che fanno innalzare all’ aereoporto all’ ora della partenza
dei
delegati israeliani un cartello che dice « non tornate» . Quanto alla
parte
palestinese, si è sparato sulla casa di Abed Rabbo, si è aggredito
fisicamente i firmatari in partenza, e lo hanno fatto sia uomini di
Hamas
che del Fatah.
Le critiche in Israele sono di tre tipi: ideologiche,
strategico-pratiche,
morali. Ygal Karmon, che dirige il Memri, l’ istituto che tutti i
giorni
legge e decifra la stampa e le tv arabe, dice: « Si ha la sensazione
di un
puro gesto patologico, un’ assuefazione accecata ai riflettori che la
pace
punta su chiunque la nomini. Ti emozioni perchè un gruppo di
palestinesi
dice di riconoscere il diritto di Israele a esistere? ma allora ti
sei
dimenticato tutto quello che è accaduto con l’ accordo di Oslo, dove
fu
promesso di rinunciare al terrorismo, di usare per questo le
cinquantamila
armi che Rabin consegnò , di rinunciare all’ incitamento e
quant’ altro... Le
concessioni territoriali, il ritorno a confini indifendibili,
l’ abbandono
del Monte del Tempio, tutto questo potrebbe esser discutibile, certo,
se
avessimo mai avuto un segno di sincerità dopo che avevamo già
lasciato tutte
le città palestinesi a Arafat! Ma ne abbiamo avuto solo guerra!
Eppure come
un’ innamorata abbandonata, Beilin ha bisogno di credere, di sentirsi
al
centro del coro di approvazione che la pace, anche solo menzionata
porta con
sè » . Amnon Lord, un altro scrittore e commentatore israeliano, è più
pratico: « Oltre a cedere, al di là degli insediamenti abbandonabili,
tutte
le zone di valore strategico, e anche tutti i luoghi della nostra
storia più
basilare, il documento prevede una terza forza internazionale che
deve
sorvegliare Israele. Il risultato, sarà che il terrorismo riceverà
protezione mentre noi perderemo la nostra autonomia come stato:
quando
secondo il documento, il Monte del Tempio si troverà sotto la piena
sovranità palestinese che “ deve assicurare che non lo si usi per
attività
ostili” la mia casa a Gerusalemme sarà giusto sulla linea del fuoco,
e la
presenza internazionale non fermerà la determinazione araba alla
conquista
di tutta la terra; solo mi toglierà la sovranità » .
L’ altro tema controverso è la questione dei profughi, che, nonostante
sia la
più sbandierata, « non è di fatto espressa in maniera decisiva - dice
il
viceprimoministro Ehud Olmert - non si chiama il diritto al ritorno
con il
suo nome, e a domande dirette sull’ argomento mai i firmatari
palestinesi
rispondono di avervi rinunciato. Ma soprattutto ciò che risulta
stupefacente
è che sia stato negoziato un accordo in una democrazia da un
personaggio che
non ha avuto deleghe da nessuno, un cittadino privato che ha potuto
usufruire di aiuti economici e pubblicità da parte di un paese
straniero per
creare semplicemente un movimento politico antigovernativo cui viene
dato il
titolo di accordo. E’ una manovra di screditamento del nostro paese
da parte
della sinistra» .
Anche Sharon è arrabbiato, e l’ ha detto più volte. Solo Arafat, nella
sua
onnipotenza, si è potuto permettere di dissentire (il Fatah è
ufficialmente
contro) e di consentire, mandando Rajub, nello stesso tempo. E’ la
tecnica
usata anche negli anni 90, quando ripetendo lodi alla « pace dei
bravi»
Arafat trasformò Oslo in un disastro.