NELLE ORE TERRIBILI DOPO LE BOMBE, IL DIFFICILE DIALOGO TRA I DUE PAE SI: UNO DEMOCRATICO, L’ ALTRO AUTORITARIO A Taba la solidarietà ostacolata dall’ ordinaria burocrazia dei dispotismi
domenica 10 ottobre 2004 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
DUE mondi, un disastro: Ido, un ragazzo di poco più di vent’ anni, si trova
nell’ immenso scoppio di Rosh al Satan. Stravolto, graffiato, vede poco
lontano una ragazza riversa: è ferita in modo molto grave alla testa. Ido sa
bene che non la si deve muovere se non con immense precauzioni. Ambulanza,
elicottero, dove sono? Gli egiziani d’ intorno sono basiti, attoniti.
Guardano i feriti, guardano la ragazza, guardano il sangue. Ido chiede
aiuto, nessuno si muove. Gli egiziani non chiedono aiuto, non sanno chi
chiamare, che cosa fare su quella spiaggia abbandonata. Alla fine, dopo
almeno un’ ora di agonia senza aiuto e senza ambulanze, due ragazzi del luogo
si avvicinano animati da buona volontà , e spostando la ragazza in maniera
molto maldestra fra le inutili esclamazioni di Ido, la caricano su un taxi.
Di ambulanze, non se ne parla.
Altri testimoni riferiranno che molti sono rimasti sei ore senza soccorsi e
senza notizie, mentre la radio ripeteva che a Taba era scoppiato una bombola
di gas. Il taxi non parte, non vuole partire, non sa dove andare. « Border
please, border, al confine» ripete Ido. Il taxi arriva dopo un’ altra
infinita ora al confine, la ragazza è in coma, il suo passaporto è rimasto a
Ras el Satan, le guardie egiziane non ne vogliono sapere. Dopo molte
telefonate e l’ intervento del Ministero degli Esteri, finalmente verso l’ una
le guardie di confine aprono la strada alle ambulanze di là dalla sbarra; ma
è troppo tardi. Michal, questo il nome della ragazza di 28 anni residente a
Gerusalemme, oggi verrà seppellita. Intanto a Ras el Satan due medici
israeliani organizzavano un ospedale da campo senza la minima illuminazione.
Al confine scene di questo genere si sono ripetute per ore: le forze
egiziane, pur evidentemente angosciate, non volevano, non potevano rompere
le regole: gli israeliani senza passaporto, sanguinanti, in fuga, premevano
da una parte per uscire dal Sinai e tornare in Israele. Dall’ altra parte i
soccorsi premevano disperatamente per entrare. Da lontano si scorgevano le
fiamme dell’ Hilton, le ambulanze si accumulavano all’ ingresso, ma non
arrivava il permesso di sgomberare i feriti israeliani verso gli ospedali in
attesa. I vigili del fuoco che erano corsi al confine senza passaporto sono
stati bloccati per ore.
Più tardi sono finalmente sopraggiunti gli ordini liberatori, un miracolo
per schiere di poliziotti e soldati abituati ad agire secondo il
regolamento. Ci sono volute le telefonate dei Ministeri, dei servizi
segreti, dei generali. Insomma, gli ordini gerarchici adeguati a una società
gerarchica. E il giorno dopo l’ unità speciale del « Pikud ha Oref» , soldati
israeliani famosi per le imprese di soccorso (hanno salvato vite un po’
ovunque, in Turchia, in Giappone), ha scavato ore con le mani perché le
macchine pesanti non c’ erano per i controlli; e i soldati subivano altre
angherie, nonostante il permesso: gli egiziani sentivano il peso di una
forza militare israeliana al lavoro nel Sinai, terra tanto a lungo contesa,
e fermavano i lavori fino a un ordine successivo. Però , dopo tre giorni di
lavoro fianco a fianco, le forze del soccorso egiziano e quelle del soccorso
israeliano hanno avuto parole di grande stima reciproca, quasi di affetto. E
ai giornalisti egiziani che chiedevano spiegazioni per la presenza di truppe
israeliane sul terreno sovrano nazionale il generale egiziano ha dato un
duro benservito: « Abbiamo salvato vite ed estratto corpi aiutandoci
reciprocamente» .
D’ altra parte, molti israeliani rientrati in patria in pigiama e senza
niente in mano (erano 40 mila in vacanza in Egitto, ora sono duemila)
raccontano bellissime scene di aiuto da parte della popolazione e anche il
sollievo delle guardie stesse quando ricevevano il permesso di introdurre i
mezzi di soccorso israeliani da un’ autorità superiore. Una famiglia con due
bambini racconta che a Taba, dopo lo scoppio, per qualche decina di minuti
non sono riusciti a ritrovare i loro piccoli. Un impiegato dell’ albergo li
aveva presi in braccio e, proteggendoli col suo corpo, li aveva estratti
dall’ hotel e portati sulla spiaggia dove tutti si accatastavano per salvarsi
dal cemento che cadeva in pezzi. L’ impiegato aveva salvato i piccoli
nonostante avesse a sua volta un figlio nell’ area del disastro: lo ha
cercato solo una volta messi al sicuro gli altri bambini.
Altri israeliani raccontano che sono stati ricoverati scalzi e seminudi
nelle case della gente, nutriti, scaldati, accompagnati al confine. Altri,
che non possedevano più i documenti, restavano ore disperati e senza notizie
dei loro cari prigionieri al confine. Perché tutto questo? Secondo il
mediorentalista Guy Behor, la buona volontà non c’ entra: da una parte hai
una società in cui conta la gerarchia, il comportarsi secondo le regole del
ruolo e della posizione sociale, conta l’ obbedienza totale delle forze di
sicurezza (800 mila uomini!) in un Paese piramidale, in cui il Raí ss detta
la legge, e questo è parte di una cultura millenaria. Dall’ altra parte, un
mondo democratico, in cui la libera iniziativa è alle stelle e
l’ organizzazione per salvare la vita in cima alla scala di valori. Ogni
regola viene rotta dagli israeliani, quando si tratta di salvaguardare la
vita, e per questo scatta una macchina allenata da guerre e terrore: sale di
coordinamento e informazione ovunque, notiziari della tv e della radio per
informare le famiglie, raccolta del sangue, preparazione degli ospedali,
elicotteri che prendono il volo un secondo dopo l’ evento disastroso.
Così , non mente Silvan Shalom, ministro degli Esteri, che parla di ottima
collaborazione: in definitiva, nonostante tutto, si sono aperte porte chiuse
da decenni, anche se a carissimo prezzo. Israele ha seppellito ieri giovani
e ragazze per i quali il Sinai era non solo vacanza ma fiducia nel sogno
della pace, della convivenza. Il povero paradiso degli israeliani è andato
perduto, l’ ultima oasi di azzurro, l’ ultima zona di innocenza, non c’ è più .