Nelle case il ricordo dei tanti soldati che non sono più tornati dia rio israeliano
lunedì 24 marzo 2003 La Stampa 0 commenti
DOPO un’ altra giornata di identificazione e straniamento di guerra
sua e
non sua, quando a sera Israele ha visto alla tv le facce dei ragazzi
americani caduti in prigionia, fra la gente la temperatura
dell’ emozione è
salita a quaranta gradi. Nelle ore precedenti lo stare affacciati a
questa
finestra così vicina e così lontana dal campo di battaglia aveva
imbozzolato
le chiacchiere di guerra in un mal di testa un po’ aggressivo, un po’
lamentoso, un non sapere con chi prendersela, un parlarsi addosso. La
gente
si era come adagiata in una discussione infinita sulla spesa cui è
andato
incontro il governo facendo aprire le maschere antigas finora
inutilmente,
50 milioni di euro. Il governo e l’ esercito hanno spiegato cento
volte come
ancora il rischio sia grande, e anzi lo sia di più via via che l’ ora
della
stretta si avvicina. Senza fine, grandi esperti di Saddam, gente che
come il
professor Amatzia Baram ha passato la vita a studiare le sue rughe e
i suoi
ghiribizzi mentali, ha seguitato a discettare sulla possibilità che
le
immagini tv non siano le sue. E poi gli esperti del Mossad e dello
Shabbach
si chiedevano l’ un l’ altro come avessero fatto gli americani ad avere
notizie precise su dove il Raí ss si trovasse venerdì notte.
Israele nella tela di ragno della guerra appariva agitato e inerte al
contempo, finché sono apparsi Shana e i suoi compagni ragazzi
terrorizzati,
come tante volte si sono visti i soldati israeliani nelle mani dei
siriani,
come Ron Arad, il pilota sparito da vent’ anni in Libano, o tanti
altri, in
mani egiziane. Shevi, prigionia di guerra, nelle mani di un nemico
infuriato
e alieno, la notte della sparizione e forse della tortura. Per paura
dello
shevi per tanti anni le donne non hanno avuto il permesso di fare il
soldato
combattente e il pilota. Tanti prigionieri sono ancora dispersi nello
shevi,
e le famiglie come pazze seguitano a bussare a tutte le porte. Shana,
trent’ anni, nera come un’ etiope di qui, soldatessa come tante di qui,
è
apparsa sugli schermi, spaventata e dignitosa. I conduttori
televisivi sono
impalliditi, gli amici si sono telefonati. L’ ondata dell’ emozione ha
coperto
l’ ironia delle maschere che per ora non sono servite a nulla, le
canzoni e
le battute sarcastiche fiorite nelle ultime ore. Di nuovo, Israele si
è
sentita spenzolata pericolosamente su questa terribile guerra.