Nella scuola di Shulamith Katznelson, l’israeliana candidata al Nobel : dallo scambio delle culture alla distensione Cari ARABI, cari EBREI, ecco l a lingua della PACE
mercoledì 14 ottobre 1992 La Stampa 1 commento
TEL AVIV PEPERONI rossi al sugo e aringhe: sono le sette del mattino
e Shulamith Katznelson che (dice lei) non sa la sua età , ma dalle
tante avventure che racconta si direbbe sui settant’anni, mostra cosa
può essere la voracità di una santa. È tutta una vita prepotente e
profetica che arde dentro l’idea di ricomporre con l’insegnamento
delle lingue l’impossibile torre di Babele del Medio Oriente, di
Israele, degli arabi e degli ebrei. Piccola e tozza, l’incedere
regale, gli occhi terribili e dolci, i capelli stopposi e il naso
grande degli est-europei fondatori della patria sionista, Katznelson
è candidata al Premio Nobel per la pace che verrà assegnato nei
prossimi giorni. L’hanno proposta tre deputati norvegesi per il
lavoro svolto col suo centro, l’Ulpan Akiva. Nella piccola rosa di
nove candidati ci sono Nelson Mandela, Vaclav Havel, il presidente
Bush. Qualcuno dice per certo che la nomination provenga dai
palestinesi di Gaza e che rappresenta un ulteriore segnale di
distensione fra ebrei e palestinesi. Shulamith parla con voce roca e
le erre in gola. Intorno alla sua colazione passa un mondo di
aiutanti, di allievi. Ha fame di mondo, oltre che di peperoni rossi:
abbraccia un immigrato russo e gli parla nella sua lingua madre. Si
rivolge con confidenza al suo primo aiutante Ali Yehiee Adib, un
grande arabo con gli occhi azzurri. In arabo naturalmente. Abbraccia
un soldato druso che insegna arabo; dà una pacca a Samira Srur,
un’insegnante di Gaza nera come l’ebano, una palestinese dura,
integrale. Tocca, passando nella sala da pranzo, tutti quanti: bacia,
ride, stringe. E si vede che molti l’adorano, molti hanno paura di
lei, della fondatrice di un pezzo d’Israele la cui
extraterritorialità potrebbe essere una scheggia di futuro. Siamo
all’Ulpan Akiva. Ulpan è semplicemente sinonimo di corso intensivo
di lingua, fatto per i nuovi immigrati, un genere di cui Israele
abbonda dagli albori. Rabbi Akiva era un maestro del Talmud del II
secolo a. C., che imparò a leggere a quarant’anni e fu tanto grande
da insegnare per primo: . L’Ulpan
Akiva esiste da quarantuno anni. La sua più decisa caratteristica è
quella di insegnare l’arabo agli ebrei e l’ebraico agli arabi
israeliani e dei Territori. Se un arabo non se la sente di venire a
studiare l’ebraico dentro la scuola che è un campus recintato sulla
riva del mare, zeppo di soldati e soldatesse, l’Ulpan ha pronto un
corso distaccato dentro il territorio di Gaza. Vi hanno studiato
sotto la direzione di Samira Srur seimila residenti della più
infuocata area della regione. Nell’Ulpan di Shulamith, dove sono
passati circa 60 mila allievi, si vive dentro piccole baracche in
stile da kibbutz ma dotate di grandi servizi comuni e di una piscina
sul mare. Chi si iscrive ai corsi si trova acchiappato in una così
grande confusione di colori e di tradizioni che presto lo spaesamento
diventa un costume di vita. L’anno scorso i 1701 studenti iscritti
provenivano da 65 Paesi diversi. Toccandoli, baciandoli, fra molte
ore di studio secondo un metodo inventato da lei, facendo ballare e
cantare canzoncine arabe e ebraiche, arabi baffuti dei Territori e
soldati col mitra a penzoloni, Katznelson crea una specie di
incantesimo comunitario: un medico di Tulkarem (West Bank) può
cantare Hava Nagila con un soldato di Tel Aviv e con un settler
americano religioso. Non è un po’ falso, un po’ stucchevole?
sarebbe - Katznel son guarda incredula tanta faccia tosta - se non si
creasse nel frattempo la ferrea struttura dello scambio delle lingue
e delle culture. Si impara storia, cucina, arte, feste gli uni degli
altri, ognuno gode veramente della differenza. Il nemico torna a
essere un vicino. Non mi illudo che questa sia pace. Proclamandola,
troppe nefandezze sono state compiute. Niente convivenza, odio quella
melassa in cui tutti diventano uguali. Niente grandi visioni,
bandiere che garriscono al vento. Credo solo nell’esperienza degli
uomini, che quando finalmente toccano con mano l’anima altrui, vedono
che la differenza è meglio di tutto. Più divertente. Più
emozionante. Ma in Israele la differenza ha creato cittadini dispari
e neppure l’Ulpan Akiva può cancellare il loro scontento.
no. È naturale. La mia speranza non è pacifista. Io tengo per
Israele, sono nazionalista, sono religiosa. Il profeta Isaia
testimonia di come Dio chiami l’Egitto “suo figlio”, l’Assiria
”sua pupilla”, ma il popolo d’Israele e”’il suo patto”, il suo
interlocutore, cui spetta il peso della testimonianza. A ognuno il
suo ruolo. Shulamith in genere parte per i Territori su un pulmino
bianco. Non ha mai avuto un incidente, mai una pietra. All’Ulpan non
c’è mai stato un atto di violenza, anche se nella vicina Natania
appena l’anno scorso le pugnalate fioccarono abbondanti. Quando va a
Tulkarem, si mette la camicia bianca della festa, la gonna lunga, un
foulard di chiffon colorato al collo, una spillina europea antica.
L’accompagna Ali, l’arabo silenzioso sotto i baffoni, oppure Ofer
Hamami, lo yemenita che si occupa della parte culturale dell’Ulpan,
uomo di danze e di canti, alla maniera dei suoi nonni che vennero con
l’ondata . Poiché tutto ci giunge da lontano forse
il mio pulmino è per me ciò che era per mia madre il cocchio a sei
cavalli con cui la mia famiglia russa prerivoluzionaria solcava,
carica dei suoi sogni sionisti e sociali, le strade d’Europa. I
membri della famiglia parlavano fra loro solo ebraico, ma con la
gente si discorreva in russo; e con le nanny in tedesco, francese,
inglese. A diciotto anni la mia elegante, bionda mamma sbarcò a Tel
Aviv per studiare (secondo il volere del padre) nella prima scuola
superiore della Palestina. Mio padre, un ufficiale russo, usciva a
sua volta da una famiglia di rabbini emancipati europei, desiderosi
di nuove esperienze. Prima della rivoluzione del ‘17 mio nonno aveva
creato due industrie tessili dei cui utili gli operai erano
compartecipi. Questo non gli impedì di finire deportato in Siberia
dopo la rivoluzione. Aperture estreme, ebraismo estremo: questo è il
primo messaggio che mi è venuto dalla mia aristocratica famiglia
russa che poi con Ben Gurion, con Jabotinsky, con Trumpeldor, ha
fondato lo Stato da destra, da sinistra, dal centro; i miei zii e mio
padre parlavano solo ebraico in casa, ma prima di essere avviati alle
sabbie dell’Impero Ottomano, poi protettorato britannico e infine
Stato d’Israele, furono tutti ufficiali nell’esercito russo.
Mischiare, mescolare le idee e i colori senza modificarli. Solo una
divina presunzione di onnipotenza può congetturare una simile
chimica:
Egitto, mio padre e la mia bellissima madre trascorsero un periodo di
studio. Viaggiavano con facilità . Mia madre si è messa il rossetto
per la prima volta a Napoli, durante uno dei tanti viaggi europei. Ma
fu a Gerusalemme che ci stanziammo negli Anni 20. I nostri vicini di
casa erano arabi. Dieci bambini in un letto, pasti strani e piccanti,
erbe rosse e zafferano. A tre, quattro anni, già andavo da sola in
questi paradisi di diversità . Mi perdevo nei suk e pontificavo (in
arabo e in ebraico), seduta su sacchi di lenticchie gialle e nere.
Mio padre, Reuven, divenne il pioniere della struttura assistenziale
e sociale del futuro Stato d’Israele. Mia madre, Batsheva (fu bella
fino a 94 anni, quando morì ] ), uno dei deputati del partito sionista
nella seconda Knesset, il Parlamento; mio zio è stato un presidente
della Repubblica. Irgun (la destra) e socialismo erano ugualmente di
casa alla nostra tavola. Insieme a Ben Gurion nel giorno di Shabbat
sedevano i bambini arabi e ebrei orientali che mio padre raccattava
per strada. Una volta è arrivato a cena con un lebbroso e ha chiesto
ai figli chi voleva cedergli la sua stanza. Fui io a farlo. La
strada di Shulamith Katz nelson verso l’Ulpan Akiva è piena di
svolte ad angolo retto; irgun, haganà , kibbutz, laborismo,
nazionalismo, insegnamento (
minuto in montagna a pensare. In qualunque struttura mi sentivo
stretta, angosciata). Finché le fu chiesto di accogliere e
integrare linguisticamente alcuni piccoli arabi- ebrei provenienti da
Siria, Iraq e Libano.
per tre mesi. Furono i migliori della mia vita. Si sono allungati a
una vita intera. Insegnai a parlare ebraico con la vicinanza e
l’amore, senza intellettualismi, incrementando e non sedando la
nostalgia, con la poesia e la musica, ho sviluppato il metodo che
oggi è quello dell’Ulpan più famoso del mondo. Mentre le grandi
famiglie ashkenazite, come la mia, fondavano Israele senza troppo
rispetto per le culture orientali, non so come intuii che loro, quei
bambini siriani, erano i principi dell’ebraismo poetico. E che anche
gli arabi loro primi fratelli, che ci chiedevano di partecipare ai
nostri corsi, avevano una loro intangibile maestà da comunicare a
Israele nascente. Ma lo Stato d’Israele, in tante diverse situazioni
politiche, come ha visto il lavoro rivoluzionario della Katznelson?
arabi. Certo, l’Agenzia Ebraica alle volte ci ha richiesto se non
sarebbe meglio aumentare il flusso di russi (già enorme) a scapito
dei corsi d’arabo, e di quelli di ebraico a Gaza. Ma guardi cosa dice
la Bibbia: Re Salomone costruì il Secondo Tempio solo con l’aiuto
dei libanesi e degli egiziani. Guai a dimenticarselo. Fiamma
Nierenstein
domenica 3 giugno 2007 16:07:31
Ho appena finito il tuo libro Israele siamo noi per cercare risposte ai miei amici della sinistra illuminata e pacifista ed in parte li ho trovati. L'unico punto su cui la mia difesa di Israele vacilla e' quando mi rispondono che dopo 2000 anni gli ebrei non possono rivendicare la terra che oramai e' dei poveri palestinesi. Come posso argomentare la tua tesi? grazie in anticipo