Nel Kibbutz Il lungo sogno del colono ebreo
domenica 20 maggio 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
TORINO
A ventidue anni, nel 1949, un giovane alto borghese ebreo piemontese
giunge, insieme alla moglie Shoshanna, in Israele, con un gruppo di
altri
venti giovani di sinistra, idealisti e comunitari. E' Corrado Israel
De
Benedetti, di cui viene presentato oggi alla Fiera del Libro (ore 10,
Spazio
autori B con David Bidussa e Elena Loewenthal), il libro edito dalla
Giuntina I sogni non passano in eredità , cinquant'anni di vita in
kibbutz.
Il kibbutz è Ruhama, nella zona del deserto del Negev, dove Corrado
« Israel»
e sua moglie vivono nella quieta disillusione che il titolo del libro
suggerisce. Rari alberi, terra battuta gialla, odore di deserto e
caldo,
fiori curati, un piccolo parco archeologico, la casa di tre piccole
stanze
ornata solo di libri e aderente a quel magnifico standard di
orgogliosa
povertà che caratterizza la storia del movimento dei kibbutz in
Israele:
passeggiando con lui sui sentieri di Ruhama, vediamo quanto
Israel-Corrado
sia amato e rispettato, una colonna della storia del suo kibbutz, a
sua
volta un pilastro della costruzione dello Stato d'Israele.
La decisione di scrivere un libro di memorie, scrive l'autore,
« deriva dal
desiderio di capire quanto succedeva attorno a noi e da una serie di
confronti verbali con una mia giovane nipote ben decisa a lasciare la
vita
del kibbutz» . Corrado percorre con sofferenza la strada dei
cambiamenti dal
regime comunitario a quello semiprivato compiuto dalla maggior parte
dei
kibbutz, il passaggio dalle « case dei bambini» dove tutti i genitori
lasciavano i figli fin da neonati, succedendosi la notte in turni, al
« biglietto» da pagare nella sala da pranzo quando i tempi si sono
fatti
duri, e la privatizzazione si è resa in molti casi indispensabile.
« Anche la
crisi del comunismo si è abbattuta sulla nostra vita, oltre ai
problemi
pratici» : De Benedetti non pensa di aver buttato la sua vita, ma il
cambiamento gli è triste, l'abbandono da parte dei giovani
dell'ideale
comunitario e anche dei sacrifici che essa richiede, gli dà un senso
di
vuoto. Eppure si avverte che egli è consapevole della speciale,
magnifica
avventura che è la sua vita. Un privilegio che De Benedetti festeggia
riuscendo a rispondere alle nostre desolate domande sulla situazione
attuale, che « la pace è inevitabile, è solo questione di tempo» .