NEL DISCORSO AL CONGRESSO USA SOTTOLINEA LA COMUNE LOTTA AL TERRORISM O Olmert: parlerò con Abu Mazen Ma prepara il ritiro unilaterale
giovedì 25 maggio 2006 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
È stato un discorso cuore a cuore quello del primo ministro israeliano Ehud
Olmert al Congresso americano. In termini pratici, perché ha accolto tutte
le indicazioni di Bush, innanzitutto quella di cercare a ogni costo un
ritorno alla Road map e al negoziato con Abu Mazen e solo in seconda istanza
intraprendere il piano di « riallineamento» , cioè il ritiro unilaterale da
gran parte della West Bank. Ma più che altro perché il discorso, che ha
trascinato in una serie infinita di applausi i presenti, è stato un profondo
dialogo tra due solitudini. Da una parte l’ immensa superpotenza americana,
caricata sovente delle guerre, delle ingiustizie, di tutti gli squilibri del
mondo; dall’ altra il lillipuziano Stato degli ebrei, sempre sotto il tiro
dell’ opinione pubblica internazionale per il compito sisifico di
sopravvivere, come ha detto Olmert, in un ambiente ostile che non gli ha
dato « non un anno, non un mese, non un giorno di tregua» dalla guerra contro
il terrorismo.
È questa la chiave per comprendere l’ applauso alla stupefacente frase di
Lilliput al gigante: « Israele non vi abbandonerà mai» . Olmert e gli Usa
parlano di terrorismo e si comprendono; possono parlare della Bibbia, e di
diritto alla vita in parallelo alla guerra contro il terrore e di nuovo
trovano un terreno comune; possono parlare di valori della società
occidentale e dirsi come ha detto Olmert a Bush in conclusione, « Hasak ve
amar» , Forza e coraggio, perché la forza senza coraggio è brutale e il
coraggio senza forza non vale nulla; e gli americani sanno di che cosa si
parla. Il clima a casa non era dei migliori: mentre Olmert parlava a
Ramallah l’ esercito israeliano andava ad arrestare Mohammed Shubaki, capo
della Jihad islamica a Kalkilia, e nasceva così uno scontro di massa in cui
ci sono stati 4 morti e 34 feriti e un soldato israeliano è stato ferito
alla testa.
Ma Olmert ha cercato di seguire le indicazioni del presidente americano nel
« tendere una mano amica al presidente eletto Abu Mazen» , cercando così di
scavalcare Hamas, alla ricerca di una via di ritorno alla Road map: « Siamo
pronti a rinunciare ai nostri sogni per fare posto anche a quelli altrui» ,
ha detto, promettendo di verificare fino in fondo la possibilità di
procedere verso la riapertura di trattative bilaterali. Sa che la
prospettiva non è fra le più realistiche: lo scontro fra Hamas e Fatah
ripropone Abu Mazen come leader in grado di comandare le milizie armate, ma
la sua condanna del terrorismo è molto morbida e il suo scontro di potere
con Hamas molto duro: solo ieri 1000 palestinesi armati con le camicie
gialle e nere di Fatah e il Corano in mano hanno marciato a Gaza per
mostrare a tutti, brandendo le armi, la loro scelta di passare a Hamas.
Erano comandati da Khaled Abu Khilal, ex quadro di Fatah che adesso è
portavoce del ministero degli Esteri di Hamas.
Intanto, mettendo avanti qualche pedina per restare interlocutori possibili
dopo il discorso di Olmert diretto a Abu Mazen, vari leader di Hamas, fra
cui il ministro degli Esteri, avanzavano l’ ipotesi di prendere in
considerazione il piano arabo di negoziazione con Israele. Per ora, sono
solo altre voci aggiunte a detti e contraddetti di Hamas al potere. Nella
notte, uomini di Fatah avevano rapito tre miliziani di Hamas, li avevano
feriti e poi abbandonati insanguinati a una pompa di benzina a Khan Yunes.
Usa ed Europa tuttavia seguitano a vedere nel presidente Abu Mazen un
possibile interlocutore per evitare che Israele proceda allo sgombero
unilaterale di cui appassionatamente Olmert ha spiegato le ragioni: non
dominare un altro popolo rinunciando alle caratteristiche di stato ebraico
democratico, cercare una situazione in cui confini delimitati e ragionevoli
diano a ciascuno responsabilità e vantaggi, primo fra tutti quello di
essere, fianco a fianco, due stati indipendenti e liberi.
In realtà l’ impressione è che gli Usa dopo aver provato e riprovato con la
Road map, non si opporranno se Israele comincerà a sgomberare i Territori.
La solidarietà resta il maggior tratto distintivo del rapporto fra i due
Paesi: non a caso Olmert ha lasciato per ultima la drammatica parte
sull’ Iran: non ha parlato di attacco armato alle infrastrutture atomiche, ma
ha detto che il fanatismo religioso di Ahmadinejad, il suo odio antiebraico
e antioccidentale, le ripetute minacce, non consentono di lasciarlo arrivare
alla bomba atomica, che sarebbe un pericolo per tutto il mondo. Bush aveva
appena promesso a Olmert che se l’ Iran dovesse attaccare Israele, gli Usa
interverranno. È difficile capire cosa significhi questo esattamente; è
facile invece capire che i due si sono lasciati con un patto di tenace
amicizia antiterrorista. La cui sostanza è rappresentata dalla frase
pronunciata tre volte da Olmert: « Non ci arrenderemo al terrorismo, lo
batteremo per restituire spazio alla pace» .