NEI KIBBUTZ A NORD DI ISRAELE BOMBARDATI DAL PARTITO INTEGRALISTA LIB ANESE Sotto le katiushe degli hezbollah « Qui c’ era il paradiso»
sabato 26 novembre 2005 La Stampa 0 commenti
inviata a KIRIAT SHMONA
Hezbollahland: quella terra oltre il confine vicino al kibbutz Manara non
può essere chiamato Libano: quella distesa di pietre punteggiata da
coraggiosi ulivi e cedri ombrosi è il tenebroso regno di Hassan Nasrallah,
degli uomini armati con le loro bandiere gialle. Nessuno, tantomento
l’ esercito libanese, che non si vede nei dintorni, può fermare i loro
attacchi a Israele, anche se fin dal 2000 lo stato ebraico si è ritirato
entro i confini misurati centimetro per centimetro dall’ Onu.
Dopo il fuoco dei giorni scorsi ci si aspetta altri attacchi e tentativi di
incursione. Vibrano nell’ aria chiara gli avamposti militari lungo il
confine, sulle vette delle colline. Li osserviamo, loro vedono noi. Arriva
una macchina di agricoltori sollevando nuvoloni di polvere, un contadino del
kibbutz ci dice di andarcene. Spareranno ancora, dice sorridendo e molto in
fretta, come hanno fatto fin da lunedì , dopo un pezzo che non si facevano
vivi. E cercano di rapire qualcuno, insiste, spicciatevi, via di qui. Lungo
la strada incontriamo un gruppo di soldati che verificano se il razzo
katiusha infilzato nell’ asfalto sia ancora attivo.
La grande organizzazione integralista sciita, specializzata in rapimenti,
bombardamenti, smembramenti di corpi e richieste di scambi e riscatti, ha
tentato parecchie carte a partire da lunedì , quando ha bombardato con
missili katiusha tutta la zona, costringendo i cittadini a ripararsi nei
rifugi, e ha tentato di rapire i soldati di guardia al villaggio di Raja.
Raja è stata divisa in due parti a partire dal 2000 secondo la risoluzione
425 dell’ Onu: una per il Libano, di fatto per gli hezbollah, l’ altra per
Israele. Lunedì , ci racconta Yossi, il giovane comandante del corpo di
guardia di Raja, indicando la strada in salita che porta in paese, sono
cominciate a piovere katiushe. Tutt’ a un tratto sono spuntati da là , a
dozzine, come in un film. Erano su moto, auto, piccoli trattori: abbiamo
risposto al fuoco ma loro avanzavano, sparavano e urlavano nella nebbia.
Hanno preso quella casa sulla sinistra: sparandoci dalle finestre coprivano
quelli che si avvicinavano per tentare di rapirci. Abbiamo avuto fortuna,
sorride, i ragazzi hanno combattuto bene e fatto tre morti mentre i nostri
feriti, di cui uno molto grave, venivano evacuati. Li abbiamo messi in fuga,
proclama contento Yossi.
Ma ieri mentre venivano restituiti i corpi degli uccisi a Raja, Nasrallah ha
di nuovo minacciato da Beirut dove i suoi si erano raccolti per festeggiare
l’ anniversario dell’ indipendenza del Libano: i bombardamenti e i tentativi
di rapimenti continueranno, è nostro diritto, ha detto, incurante del fatto
che Israele non deve niente al Libano. Per lui, deve semplicememente
sparire. « Morte a Israele» , ha risposto infatti più volte la folla.
Andiamo a trovare nel silenzio del confine, nelle baracche militari, il
comandante dell’ area del Nord, il colonnello Gal Hirsch: « Attaccano perché
vogliono creare un casus belli che ci indichi come aggressori davanti
all’ opinione pubblica internazionale e distolga l’ attenzione dai loro
indispensabili sponsor, la Siria e l’ Iran, che forniscono denaro, armi, basi
operative in cui svolgono corsi di addestramento per terroristi destinati a
alimentare la confusione in Iraq e in Palestina. Oggi la Siria e l’ Iran sono
sotto i riflettori del mondo intero. E chi soffre di più dell’ attività di
Nasrallah e i suoi è il Libano, che rifiuta di disarmarli, perché sono forti
e ben sostenuti. Ma l’ aprirsi di un raggio di pace in Medio Oriente li mette
in difficoltà . Restano tuttavia pericolosi, con i loro dodicimila missili
puntati e con una portata di tiro tale da colpire fino a Haifa e oltre.
Hanno rapporti con al Qaeda e con Hamas. No, non riesco a capire
l’ esitazione dell’ Europa nel dichiararli organizzazione terroristica, con il
loro massiccio messaggio d’ odio, e con la loro attiva presenza
globalizzata» .
Degli Hezbollah nessuno ne sa di più delle loro vittime. Ad esempio nella
città di Kiriat Shmona, 20 mila abitanti sotto shock, case e mercati sul
fianco della montagna della Galilea, ricca di cedri e pini, che cercano di
sopravvivere fra uno scoppio e l’ altro. Tutti hanno qualcuno fra i loro cari
colpito in un bombardamento degli hezbollah. Masha Album è una magra,
scattante psicologa infantile: « I bambini qui devono scendere per routine
nei rifugi. Le loro famiglie li controllano ossessivamente, tutti i genitori
vivono nella paura che l’ allarme possa capitare quando sono soli per strada,
tutti hanno qualche vicino il cui bambino ha corso nel panico da solo lungo
la strada deserta dopo l’ allarme gridando “ mamma mamma” . Così le attività
sociali sono quasi sempre deserte, i ragazzi crescono in un clima
ossessionato, anche se qui vive gente molto coraggiosa, solidale, in gamba.
Il numero di bambini che soffrono di insonnia, brutti sogni, crisi di ansia
e disordini vari è molto alto. Non sognano vendetta o punizione, non
immaginano, di là della montagna, dei mostri.. Durante un test fatto di
immagini, vari bambini li descrivono di spalle, mentre salutano e se vanno
nel Nord del Libano e li lasciano in pace. Altri disegnano una grande cupola
bellissima, che protegge Kiriat Shmona come un cielo blindato, o Spiderman
che li porta via» .
Facciamo la conta di quante famiglie colpite Masha conosce, ma sono troppe,
lascia perdere, chiede se deve includere anche i feriti e le case
distrutte... Fra i morti: due giovani mariti. Uno ucciso perchè era uscito
dal rifugio a fumare una sigaretta, l’ altro, padre di quattro figli, perché
era salito a controllare che la porta fosse chiusa bene. « Uno ferito, la
casa colpita: il maestro di una delle mie figlie. E tanti altri. E quelli
che restano sono distrutti» . In una scuola femminile le bambine di tredici
anni scendono nel rifugio per un’ esercitazione: sono eccitate, si raccontano
dell’ ultima volta, quando Elisheba piangeva tanto e Noga urlava nel
telefonino « Mamma non ti preoccupare, tu sei protetta?» Paulette Azulai, una
signora sulla sessantina, davanti alla sua bella casa con due leoni di gesso
di guardia, ci fa vedere come l’ antenna dell’ elettricità cadde sulla sua
abitazione, la distrusse e schiacciò la gamba destra della figlia, che aveva
16 anni. Scoppia in singhiozzi: « La casa l’ abbiamo ricostruita ma mia figlia
da allora ha una gamba distrutta. Non è più lei, anche se grazie al cielo
cammina, non ama più la vita. E anch’ io sono piena di paura. Io dico agli
hezbollah: se volete combattere mostrate la faccia; ma che bel coraggio,
bombardare delle famiglie innocenti, lungo tutta la Galilea, un paradiso
dove tutti quanti dovremmo poter vivere in pace. Perché ?»