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MORTO A 103 ANNI L’ ULTRAORTODOSSO SCHACH IL RABBINO CONTRO ISRAELE

sabato 3 novembre 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein QUALCUNO continua a sostenere che avesse 107 anni, ma altri insistono che la sua nascita, nel remoto villaggio di Wabolnick, in Lituania, sia avvenuta il 22 gennaio 1898, e che quindi ne avesse soltanto 103. Tre secoli, comunque, sono stati varcati dal rabbino Eliezer Menachem Schach, morto e sepolto ieri a Tel Aviv, e questo forse fa parte della folle magia mistica che ha fatto piangere a calde lacrime decine di migliaia di ebrei ortodossi nerovestiti, ondeggianti, stipati, accorsi al suo funerale ieri sera, nel quartiere di Bnei Berak. Chi era rav Schach? Secondo i criteri contemporanei, un folle tessitore di millenni talmudici, ma anche un accorto, pratico tessitore di politiche di corridoi, partiti e parlamento, un costruttore di Yeshivà , scuole religiose, e mikve, bagni rituali. Un fustigatore della società laica e un caposaldo del potere religioso. Aveva 7 anni quando il maestro locale informò la sua famiglia che il bambino doveva essere mandato a studiare a Ponevetz, alla grande scuola, perché era un genio. Allora aveva solo una camicia, batteva i denti finché non si asciugava; ora, a 103 (o 107?) anni ne avrà avute forse tre, la sua vita era di una modestia straordinaria, ma fu lui a fondare la presenza religiosa nella politica israeliana prima della nascita del nazionalismo religioso dopo la guerra dei Sei giorni: oltre a dar vita a Agudat Israel e Degel ha Torah, i partiti ultraortodossi ashkenaziti, per primo capì che avevano il diritto di vestirsi con gli alti cappelli e di ambire al potere anche i religiosi sefarditi, e inventò lo Shas, un partito che oggi ha 17 seggi al Parlamento. Shach era un tipo terribile e magnifico, un vecchietto sdentato mezzo addormentato che si svegliava al momento di far fuori un nemico o di esaltare un amico. La sua abilità e anche la sua genuinità è consistita nel fatto di non aver abbracciato pedissequamente la causa nazionalista, come hanno fatto poi altri gruppi religiosi a partire dalla Guerra dei Sei giorni. Shach era capace di dire cose orribili contro i membri dei kibbutz, definendoli (somma delle offese!) « mangiatori di conigli e di maiali» o contro il Centro Acquisti di Tel Aviv (« Un posto dove le persone vanno in giro comportandosi come bruti» ) o sull'Olocausto (« Una punizione divina» ). Ma era anche fieramente contrario a gettare vite umane in cambio di territori, e anzi giunse a perorarne l'abbandono. Nel 1996 di fatto condannò Shimon Peres alla sconfitta dicendo ai suoi di votare per Netanyahu, ma prima aveva spinto i partiti religiosi non nazionalisti (come Shas) a partecipare al governo Rabin. Diceva della sinistra che « non tiene conto dell'essere umano, le interessa solo il potere» , ma non si tirava indietro nel dire che il rebbe Lubavitcher, capo di una setta che lo crede ancora oggi il messia, « non era normale» . Diceva che la bandiera israeliana era « un pezzo di stoffa simbolico da sventolare a destra e a sinistra» ma non ha mai impedito neppure ai ragazzi della sua famiglia, come fanno in genere i religiosi, dal servire nell'esercito. Per Israele, la cui società ha sempre criticato, era un memento antico e solenne dell'unica cosa che a lui importasse veramente: la Torah. In fondo, Israele ai suoi occhi era a sua volta un caro idolo, e poco più .

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