Mombasa, Eden in tumulto Alberghi e capanne, lusso e povertà
martedì 19 agosto 1997 La Stampa 0 commenti
SONO tutti in fila gli alberghi di lusso, costruiti con una
reminiscenza del lodge africano, e uno di essi fu addirittura
inaugurato trent'anni fa da Yomo Kenyatta, il grande profeta
dell'indipendenza e dell'orgoglio del Kenya. Il turismo doveva
infatti essere una delle tante promesse della nuova democrazia, della
vita moderna; doveva andare insieme all'idea di conservare per
l'umanità le riserve dove gli elefanti e i leoni si godono il mondo
così com'era ai primordi. È scritto su ogni targa attaccata a muri
ormai sbrecciati. Adesso da ogni parete, anche dentro i grandi
alberghi, a sgombrare il terreno dalle illusioni di democrazia,
troneggiano sopra la cassa grandi ritratti di Daniel Arap Moi, il
presidente che pare abbia scatenato, lui in persona, le grandi
violenze in corso per aver la scusa di ripulire il Paese e di non
indire le elezioni dopo vent'anni di potere. Akuna matata, il Kenya
è un Paese democratico, i suoi abitanti gente pacifica e sorridente
che fa tutto piano piano, pole pole; non spingeteli ad essere
puntuali; non a costruire né a guidare come noi; non a consegnare
merce cibo o quant'altro all'ora fissata. Così ripetono gli
operatori turistici e spiegano che le agitazioni di cui parlano i
giornali sono piccola cosa, eventi che non intaccano il placido
carattere nazionale; e Moi in fondo è un bravo ragazzo, lo
dimostrerà , darà le elezioni. Tutto va bene. Va bene per esempio
anche agli abitanti delle isole Funzi, o alle tribù Masai. Li vai a
trovare nei loro villaggi in cui si tocca con mano la meravigliosa
intuizione di Karen Blixen che l'Africa è il punto di contatto
assoluto e indistricabile fra il bene e il male, il meraviglioso e
l'orribile. L'intreccio delle foglie dei tetti conici, la perfezione
delle palme, il canto antico, l'eleganza innata delle donne vestite
di tutti i possibili colori; e poi l'orrore dell'assalto dei bambini
alla caramella di sopravvivenza che il bianco elargisce a chi insiste
di più , come un colonialista tanto peggiore di Karen Blixen in
quanto totalmente inconsapevole e ignorante. O la benedizione
accorata delle madri se regali loro una vecchia maglietta da
sostituire a quella completamente stracciata, e certo unica, del
proprio figlio.
impianto esterno di qualsiasi tipo. Akuna matata: le città e il
traghetto ora tagliato dai ribelli sono ad ogni ora del giorno una
marea limacciosa di volti neri che si riversano di mattina presto in
città , a Mombasa, cercando di sfangare la giornata. A volte in
cinque, quasi nudi, spingono l'unico carretto pieno di noci di cocco.
Evidentemente si dividono i proventi, chissà quali, di questo lavoro
di facchinaggio. Uscire di sera è letteralmente impensabile; in
taxi, sconsigliabile. Se tieni il braccio fuori dal finestrino, il
tassista ti chiede di tirarlo dentro
l'orologio. Le folle fuori degli alberghi ti afferrano fisicamente
per praticarti improbabili massaggi o per farti strette treccine nei
capelli mostrando patenti e licenze rilasciate dal governo stesso. Le
ville dei dintorni dove gli indiani benestanti o i ricchi bianchi
vivono circondati da servitori sono sormontate sulle alte mura da
fili spinati tutti quanti elettrificati. I poliziotti dondolano i
manganelli sulle strisce dell'alta marea dell'Oceano Indiano, senza
sosta, a protezione degli alberghi. I giornali raccontano che in un
villaggio alcuni malviventi, una decina, sono stati giustiziati col
linciaggio e poi bruciati dagli abitanti che avevano scoperto un loro
progetto di furto di bestiame. Le chiese, le moschee, sembrano oasi
fra un villaggio e l'altro; almeno là dentro c'è il pavimento
invece della terra battuta e una sedia invece del solito accoccolarsi
sul terreno. Ma anche qui, invece, le cronache parlano di incipienti
guerre di religione, di un integralismo islamico montante; e
dall'altra parte solo Moi, cristiano, che possiede un jet personale
da decine di milioni di dollari mentre la sua gente muore di fame e
di malattie terribili. È finito il tempo della grande generosità
internazionale, quando ancora si credeva nel miracolo kenyota
iniziato da Kenyatta. Giappone, Germania, Italia, e altri Paesi
occidentali, generosi in aiuto che erano stati, hanno invece da tempo
cominciato a chiedersi dove andavano a finire i soldi; sempre più si
sono stufati della accertata, dichiarata diffusa corruzione che ha
infilato proventi di milioni nelle tasche del presidente Moi e della
sua cerchia. Ed è quindi di due settimane fa la sospensione del
credito internazionale da parte del Fondo monetario che aveva
destinato al Kenya 215 milioni di dollari. Quindi, di conseguenza, se
fino ad oggi un kenyota ha vissuto con poco meno di un dollaro al
giorno, adesso dovrà allenarsi a fare di meglio. E ormai Moi è
andato molto al di là della preoccupazione per l'opinione pubblica
che dà la rispettabilità : che importa ormai del mondo a chi fa
eliminare i propri nemici politici sistematicamente, a chi si giova
della morte di poliziotti troppo intraprendenti,
avventuratisi in indagini contro la corruzione, a chi arma una
polizia che a ogni angolo impone posti di blocco per poi fermare
soltanto chi turba l'ordine pubblico degli interessi molto privati di
Arap Moi? Così l'unica risorsa, mentre manca ogni sviluppo e la
rabbia fuma, è proprio la miseria delle tribù , che genera
curiosità , immagini pittoresche, gracili membra avvolte di colore
che si arrampicano su un cocco alto venti metri per un paio di
calzini, merce molto richiesta. Oppure, resta sempre il ruggito del
leone durante il safari. Akuna matata, una filosofia devastante per
il continente africano intero che dovrebbe invece solamente dirsi:
tutto va male, via Moi e i suoi pari, che si cambi tutto. Fiamma
Nirenstein
