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MESSAGGIO DEL PREMIER ISRAELIANO AD ASSAD: LA PACE SOLO SE CADE L’ APP OGGIO AI TERRORISTI Sharon: i coloni mi fischiano? Io non mi fermerò « Per la s icurezza sgombrerò gli insediamenti»

lunedì 12 gennaio 2004 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Il vecchio Ariel Sharon-bulldozer forse ieri è definitivamente sparito dall’ immaginario collettivo israeliano: proprio lui, il fondatore di tanti insediamenti, è stato fischiato, attaccato e bestemmiato (in effigie) da una manifestazione di più di centomila coloni. Nelle stesse ore - le sette di sera - ripeteva alla stampa estera punto per punto il suo piano: sgomberi, ridisposizione dell’ esercito e sicurezza senza sconti, compresa la barriera di difesa. Certo, aveva un aspetto tirato quando si è presentato a un incontro con i giornalisti della stampa estera: chi avrebbe mai potuto prevedere che la piazza Rabin a Tel Aviv, quella delle immense manifestazioni di sinistra, si sarebbe riempita per la protesta contro di lui da parte di manifestanti che mostravano lo sdegno del partner tradito? A Tel Aviv, fra canti e slogan, la folla ripeteva « Noi non ci piegheremo» , e intanto Sharon a Gerusalemme diceva che Israele - in nome della Road Map o di un ritiro unilaterale - smobiliterà una parte degli insediamenti, e l’ esercito ripiegherà su una nuova linea di sicurezza. La piazza che di fatto lo ha indicato come il vero nemico da battere (« tu che parlavi di lotta al terrore, tu che promettevi sicurezza, vuoi consegnare la terra d’ Israele a Arafat?» gli ha detto uno dei suoi ministri, Uzi Landau), non è stata avara di vecchie registrazioni di Sharon che affermava la sua fedeltà agli insediamenti e il suo rifiuto dell’ idea stessa di uno Stato palestinese. La folla ruggiva, cantava, si esercitava in slogan inusitati contro il vecchio amico. Ariel Sharon a Gerusalemme non ha perso le staffe, e parlando dei suoi ministri che erano andati in piazza contro di lui ha detto: « Non so chi siano, non mi sono informato. Ma questa è una democrazia; e comunque alla fine chi decide la politica è il governo. Io sono tranquillissimo. Sin dalle primarie del mio partito dichiarai, chiarissimo, le mie intenzione: far nascere uno Stato palestinese, abbandonare parte dei territori per poter fare la pace. Mai però abbiamo stabilito di quale ritiro si debba trattare, questo si decide nella trattativa, non ci sono precondizioni. L’ unica vera precondizione sulla quale non intendiamo ripiegare è la sicurezza dei cittadini, vogliamo la lotta al terrore da parte dell’ Autorità palestinese. Anche il famoso muro non ha nulla a che fare con confini predeterminati: quella barriera l’ ha costruita il terrorismo, a noi costa molti soldi ed enormi energie» . Il dialogo più animato Sharon l’ ha avuto con un corrispondente del Kuwait, che gli ha chiesto perché i soldati seguitino a colpire bambini e civili durante le loro operazioni militari. Sharon ha risposto che in ogni guerra - per disgrazia, e senza che per questo si debba accettare la cosa - vengono involontariamente colpiti civili innocenti. Ma il terrorismo, ha proseguito, prende di proposito di mira gli autobus e i ristoranti: i civili, i bambini, sono l’ obiettivo. Comunque, ha aggiunto Sharon, sarebbe bene che il primo ministro palestinese Abu Ala accettasse finalmente il ripetuto invito a parlare subito: sarebbe un primo importante passo per segnalare la buona volontà verso la pace. Ora che è così deciso a smantellare le colonie, Sharon comunque non si pente di esserne stato uno dei padri: « Sono stati per primi i governi di sinistra a stabilirne l’ utilità e il significato, dopo la guerra dei Sei Giorni. Io non lo rimpiango. Oggi però la situazione suggerisce che per fare la pace si debba rinunciare a parte della terra, che tuttavia è la culla stessa di Israele da quattromila anni. Perché parlo sempre di “ penose concessioni” ? Non solo per motivi di sicurezza: per girare Israele, la Giudea, la Samaria, non occorre una carta geografica. Basta la Bibbia, dove appaiono tutti i nomi attuali della vita ebraica, Non è doloroso abbandonare una parte di sè , della propria storia? Eppure bisogna farlo» . Sulla Siria Sharon è rimasto coperto e prudente: bisogna capire le ragioni delle affermazioni pacifiste del presidente siriano Bashar al Assad, sotto pressione da parte degli Stati Uniti e per ora tuttavia molto impegnato a finanziare le organizzazioni terroriste palestinesi e a passare le armi iraniane agli Hezbollah. Che Bashar cessi dal terrore e parliamo, ha detto il Primo Ministro.

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