MENTRE SUONAVA LA SIRENA LA TV SIRIANA TRASMETTEVA UN DOCUMENTARIO SU « SIONISMO E NAZISMO» Il Giorno dell’ Olocausto nell’ anno delle stragi Quando Isr aele si ferma per ricordare giungono notizie di nuove vittime
mercoledì 10 aprile 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
LA vera storia della Shoah e Israele, al di là di molte varianti
specifiche, è quella di un’ incredibile riabilitazione di massa di
vite
bruciate nell'orrore, perdute nell'indicibile; è la storia, che non
sta
negli archivi, della tenacia dell'essere umano quando trova dove
appigliarsi, della lenta ripresa di interessi, degli affetti amicali
e
familiari nella protezione del nuovo Stato ebraico, la promessa della
sicurezza, della casa. Ieri, Giorno dell'Olocausto, Yom Ha Shoah, in
Israele
non poteva essere come gli altri. « Era il mio primo Giorno
dell'Olocausto
come soldato - ha detto alla radio Ofer, di Natanyam, dove è avvenuta
la
strage di Pasqua - e quando è suonata la sirena del ricordo dei Sei
Milioni,
i nostri morti di oggi erano là a guardarci interrogativamente, con
loro. E'
difficile per un ragazzo spiegarsi come mai gli ebrei dopo tanto
soffrire,
dopo tanto lottare, non siano arrivati ancora a vivere in pace a casa
loro.
Perché dobbiamo vedere ancora tanti bambini, vecchi, donne ebrei
uccisi
intenzionalmente, per le strade» .
Nella forma, la Giornata dell'Olocausto è andata avanti secondo il
cerimoniale. Lunedì sera, nella notte fredda di Gerusalemme, al Monte
Hertzl, al Museo della Shoah, l'accensione con le fiaccole di un
grande
braciere della vita da parte della generazione dei sopravvissuti
insieme con
i giovani. Poco lontano dal Museo dei Bambini che nel buio recita uno
a uno
i nomi dei piccoli uccisi nei campi mentre una candela si riflette
milioni
di volte nel buio, il vento soffiava sulle tombe di Yitzhak Rabin, di
Golda
Meyr, di Moshe Dayan, degli eroi sionisti che restituirono la vita a
un
popolo che sembrava finito per sempre nell'orrore e nella morte. Da
ieri
mattina tante cerimonie, un gran convegno sull'eredità morale e
culturale
della memoria, la tv e la radio che trasmettono per ventiquattr'ore
voci
sommesse di sopravvissuti, miracoli, orrori indicibili, traversate a
piedi
dall'Europa per raggiungere la terra d'Israele. E, punto centrale
della
giornata, la sirena che alle dieci risuona sulle autostrade, nelle
città , e
tutti si immobilizzano sull’ attenti formando una catena ideale di
speranza e
di continuità con i trucidati di 50 anni fa. Ma la sirena aveva una
voce più
sorda quest'anno. Ai tempi del processo di pace l'elaborazione del
lutto
faceva sgorgare lacrime limpide. Si poteva piangere in pace. Il
cantante
Yehuda Polliker cantava allora una canzone sulla Shoah che fece molto
scandalo: « Fa male, ma meno; meno, ma fa ancora male» , diceva.
Oggi è diverso. Alla cena della strage di Pasqua almeno cinque delle
vittime
erano sopravvissuti, che avevano con dolorosa e quotidiana volontà
inventato
uno stupefacente recupero: figli e nipoti, lavoro, interessi vari,
sport,
affetti e impegno sociale. Ma, per esempio, George e Hana Yacobovich
rompono, come anche Marianne Leman, questa storia bella: i primi due,
marito
e moglie, nascono in Romania nel 1923. A scuola insieme, sul medesimo
treno
verso Auschwitz, George salta dal treno, riesce a fuggire. Hana
arriva alla
famigerata rampa con padre, madre e fratelli. I suoi vengono
selezionati e
gassati all'arrivo, lei attraversa l'inferno e ne esce viva. Le
strade dei
due convergono dove è possibile immaginarsi ancora di andare avanti,
in
Israele, e nel ‘ 79, ciascuno dopo un matrimonio finito e con due
figli a
testa, George e Hana mettono finalmente insieme la memoria e la
speranza: i
due compagni di scuola si sposano. La sera della cena di Pesach i due
invitano a Natanya André , un figlio di Hana, con la moglie e due
figlie. Il
terrorista suicida, in mezzo a un mare di sangue (27 morti) ha ucciso
George
sul colpo, Hana lotta fra la vita e la morte, André è stato ucciso e
così
sua moglie, le nipoti sono ferite, ancora all'ospedale.
Un'altra storia: Marianne Leman, di 76 anni, per quattro anni durante
la
guerra era entrata e uscita da un armadio di una vecchia casa in un
villaggio fra la Francia e la Germania, nell'incubo dei nazisti che
periodicamente irrompevano a caccia di ebrei. Il suo sogno di
recupero, di
vita era nient'altro che Israele, la promessa che anche l'essere
umano più
perseguitato possa avere una rifugio, una casa. Quest'anno Israele
sente che
la casa non è sicura, che chi è approdato non lo è veramente. Inoltre
ieri,
proprio nelle ore della memoria, la tv siriana trasmetteva un
documentario
intitolato « Sionismo e nazismo» in cui riproponeva di nuovo la
indegna
comparazione che risuona spesso in queste ore anche nell'informazione
palestinese, e che anche intellettuali europei come Saramago non si
peritano
di vezzeggiare. E che disturba assai l'indispensabile dibattito, che
è
tutt'altra cosa, sulle responsabilità morali di un popolo che ha
tanto
sofferto, e che deve comunque seguitare a porsi le domande che
talvolta in
battaglia vanno perdute, ovvero quelle sulla sempiterna, continua e
comunque
indispensabile umanità dell'avversario, persino quando è un
terrorista.