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Mentre si chiude il round dei colloqui di pace Israele-Siria, nuova tornata il 19 In piazza Rabin per il Golan « Non consegniamolo a Assad» , gri dano in 150 mila

martedì 11 gennaio 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Camminava sul filo del rasoio la manifestazione degli abitanti del Golan che ieri sera ha riempito la grande piazza di Tel Aviv, Kikar Rabin, dove hanno avuto luogo, nel tempo, le più grandi manifestazioni per la pace, e fra queste quella tragica in cui fu assassinato appunto Yitzhak Rabin: perché sarebbe bastato che qualcuno tirasse fuori un cartello con la faccia di Barak con la kefiah, o che urlasse « Barak traditore» , e la destra si sarebbe portata a casa quella che gli organizzatori hanno definito « la più grande di tutte le manifestazioni» . Di fatto, non sarà stata la più grande, ma c’ erano circa 150 mila persone; lo sforzo organizzativo per dimostrare che non solo gli abitanti delle trentatré comunità delle montagne, ma tutta Israele non si fida di nessun accordo con il leader siriano, è stato grande: lungo la strada per Gerusalemme i « golani» hanno disseminato macchine, trattori, oggetti bruciati e distrutti dalle bombe di Assad prima della guerra del ‘ 67, quando le alture erano usate come rampe di lancio per azioni terroristiche antiisraeliane. I pullman provenienti da tutti i punti cardinali hanno intasato le vie d’ ingresso a Tel Aviv. I cartelli e gli striscioni erano tutti accuratamente prefabbricati, privi di qualsiasi invettiva antigovernativa. Prima di tutto portavano lo slogan principale: « Non ci muoviamo dal Golan» , ma si trovava ripetuto all’ infinito anche nei discorsi ufficiali il concetto che la pace è desiderabile, anzi, indispensabile, ma che non si può essere proni ai desideri di Assad, cedendo a un inaffidabile dittatore i monti strategici su cui vivono ventimila persone laboriose e civili che non hanno nulla a che fare con il colono religioso nazionalista della West Bank. « Sì alla pace - diceva un cartello - no allo sradicamento» . L’ organizzazione dei residenti del Golan, per evitare che la loro manifestazione diventasse di destra, ha reclutato un gran numero di agenti di sicurezza, e ha sguinzagliato per la piazza, dove pure si trovavano i coloni religiosi, migliaia di volontari pronti a tappare la bocca a chi si mettesse in mente di gridare slogan contro il governo. Tutti i politici sono stati tenuti lontani dal microfono: il « no» più sonoro l’ ha ricevuto il capo del Likud, Ariel Sharon, che volentieri sarebbe salito sul podio alla conquista di quel pubblico così politically correct con le sue canzoni e i suoi discorsi di pace e di resistenza. Chi ha parlato portava soprattutto testimonianza del pericolo corso dai cittadini del Nord d’ Israele nel passato, quando le alture erano nelle mani di Assad; oppure, come il sindaco di Kiriat Malachi, una cittadina del profondo Sud, cercava di comunicare che il Golan è necessario a tutto Israele e non solo a chi vive al Nord. D’ altra parte però , all’ angolo della piazza una piccola manifestazione di genitori privati dei figli dalla guerra testimoniava silenziosamente ma con grande potenza che la pace dev’ essere ottenuta a qualsiasi costo. Proprio mentre la manifestazione era in corso, concedeva una sua prima mesta intervista di ritorno dai colloqui con i siriani a Shepherdstown il ministro degli Esteri David Levy. Descriveva al pubblico un’ atmosfera appena tiepida, garantiva che niente era stato deciso rispetto ai confini, e che solo buone garanzie di sicurezza avrebbero indotto a concessioni territoriali che per altro, Levy ha assicurato, contrariamente a quanto dice Assad non sono ancora state definite. Soprattutto, Levy si è lamentato della continua, lenta e inefficace mediazione fra le due delegazioni dovuta al fatto che Assad non viene personalmente a incontrare Ehud Barak. Ed è un dato di fatto, secondo quello che si sa del procedimento usato dai siriani nelle decisioni, che neppure una virgola può essere stabilita da Faruk ash-Shara, ministro degli Esteri siriano, senza essere sottoposta al capo: al minimo, un continuo vai e vieni, un insopportabile raddoppio dei tempi. Comunque, Clinton, Barak e Ash-Shara hanno potuto annunciare che i colloqui riprenderanno il 19 di gennaio. Molto presto, dunque. In quella data per l’ appunto anche Arafat sarà in Usa per incontri politici. Il futuro è dunque denso di buone sorprese, inutile lo slogan dei manifestanti che gridavano: « Clinton, amico, non t’ impicciare» .

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