MENO PIETÀ , PIÙ ORGANIZZAZIONE IL CITTADINO DOWN
giovedì 5 agosto 1999 La Stampa 0 commenti
                
Fiamma Nirenstein 
GENITORI senza pietà , aspiranti genitori adottivi con la pietà , 
società 
spietata, infermiere e dottori meravigliosi, volontari generosi... 
Tutta la 
vicenda del gemello con la sindrome di Down nato all’ ospedale 
Torregali di 
Firenze e scartato rispetto al gemello sano, è diventata un 
florilegio di 
cattivi e buoni sentimenti. Il panorama della storia ne è talmente 
zeppo, la 
pateticità è così diffusa da spargere una densa nebbia in cui la 
preoccupazione di distribuire voti, incolpare o discolpare, prende il 
posto 
di un solido ragionamento, e anche, così sembrerebbe, di una solida 
organizzazione sociale. Ma soprattutto, si sostituisce a un 
atteggiamento 
collettivo nazionale consono al problema delle persone disabili. 
La pietà , a causa dell’ immenso peso della Chiesa nella storia del 
nostro 
Paese, ha da noi alle volte ruoli decisivi di sostituzione. Così 
accade, per 
esempio, nell’ accoglienza degli stranieri, quasi completamente 
espletata 
dalle benemerite organizzazioni dei volontari. Anche nel campo dei 
problemi 
fisici e mentali, benché esistano leggi e strutture di supporto 
paragonabili 
a quelle degli altri Paesi occidentali, pure la nostra comunità 
nazionale fa 
uso, quando viene in contatto con i disabili, più della pietà che 
della 
solidarietà . Il nostro sguardo è caritatevole, non amicale. Forse i 
genitori 
del bambino nato a Firenze sentivano che, oltre a trovarsi immersi in 
una 
quantità di problemi pratici, sanitari, scolastici, di sviluppo, di 
lavoro 
per la vita del nuovo nato, avrebbero conosciuto una melassa di buoni 
sentimenti, di bugie, di elevazioni spirituali... L’ eloquio stesso 
cui è 
destinata nella società una famiglia con un bambino problematico è 
reticente 
fino all’ ipocrisia. Ci sono Paesi in cui, a causa delle guerre o di 
uno 
sviluppo diffuso del discorso democratico si dice pane al pane fino 
alla 
brutalità ; magari, là non si ama tanto l’ oggetto della nostra 
preoccupazione 
quanto invece lo ama il pietoso italiano. Lo si ritiene semplicemente 
parte 
del panorama civile, un cittadino con diritti e doveri. E le famiglie 
che 
scelgono una strada o l’ altra, di maggiore o minore vicinanza ai 
figli 
portatori di handicap, non ricevono continuamente voti, non subiscono 
processi né vengono decorati con medaglie. Hanno semplicemente 
diritto a 
buone strutture, in quanto cittadini che pagano le tasse. La pietà è 
dura da 
subire, forse ancora di più dell’ indifferenza e della sanzione. 
Perciò il professor Pier Luigi Duvina, invitando a non giudicare i 
genitori 
che non hanno saputo affrontare il destino che si trovavano di 
fronte, ha 
compiuto semplicemente un gesto di vera civiltà . Niente più 
sentimenti, 
prego, il mercato ne è saturo. Meglio un po’ di organizzazione. 
            