MEIR MARGALIT DIRIGENTE DI MERETZ, NON PERDE LA SPERANZA « Arafat, t utto o niente non funziona» Il leader dei pacifisti israeliani: ecco la vi a d’ uscita
domenica 15 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
                
GERUSALEMME 
MEIR Margalit, uno dei capi del Meretz, il Partito Radicale, ieri 
sera è 
tornato in piazza a Tel Aviv per la pace. Una manifestazione 
sofferta. Ci 
vuole un bel coraggio dopo tutto quello che è successo in questi 
giorni, 
dopo le manifestazioni di odio dei palestinesi, gli spari degli 
israeliani, 
i bambini morti, i soldati linciati. Eppure Meir Margalit, 48 anni, 
membro 
della direzione del suo partito, consigliere comunale di Gerusalemme, 
pensa 
che la strada di Shalom Achshav, Pace Adesso, sia ancora aperta. 
E' già il momento, tuttavia, di convocare la gente a manifestare? 
« Con aspettative limitate, con pazienza e con modestia, è un dovere 
immediato: Yael Dayan, Uri Avneri, tutti gli speaker della pace 
infatti già 
sono tornati a cercare di riconquistare il pubblico deluso e 
sfiduciato..» . 
Il pubblico? E lei personalmente, che ha dedicato tutta la vita alla 
lotta 
per la pace, non ha ricevuto un vero pugno nello stomaco quando dalle 
immagini da Camp David, con tutti i salamelecchi fra Barak e Arafat, 
si è 
passati agli scontri , e che scontri? 
« Nei primi tre giorni avrei voluto sparire, ero depresso, deluso, 
pieno di 
interrogativi sulla mia stessa esistenza. Ci sentivamo falliti. Avrei 
voluto 
prendere Arafat faccia a faccia e dirgli: "Ti prego, prendi quel 92 
per 
cento di West Bank che Barak ti offre. Lo so, non è tutto quello che 
ti 
spetta...” » . 
In che senso? 
« Nel senso che io sono per restituirgli il 100 per cento della West 
Bank; 
ma, pragmaticamente, questa resterà per molto tempo la migliore di 
tutte le 
offerte possibili, e Barak il migliore dei Primi Ministri 
possibili... 
Quindi Arafat, doveva accettare. Oltretutto ci sono molti documenti 
che 
dimostrano che anche sul Monte del Tempio era pronto un accordo 
possibile» 
Magari possibile, ma non quello che Arafat voleva: è Barak gliel'ha 
posto 
come un accordo definitivo, che toglieva ai palestinesi la 
possibilità di 
avanzare nel tempo altre richieste. 
« Io, ripeto, avrei accettato..Definitivo è un aggettivo che in 
politica non 
esiste. E questi moti possono diventare per Barak quello che gli 
autobus 
esplosi furono per Peres: il segno che è in arrivo un Netanyahu. Ma 
qui 
viene il punto: anche se Arafat ha tradito la fiducia nata con 
l'accordo di 
Oslo, anche se ha sollevato il suo popolo, anche se ...tutto quello 
che 
vuole, tuttavia resta il mio vicino, il mio interlocutore. Mi 
piacerebbe 
fare la pace con il Canada, o con l'Italia. Invece la devo fare col 
mondo 
arabo. C'è un fatto sorprendente nei sondaggi di questi giorni: 
ancora il 69 
per cento della popolazione tiene per la pace. Quindi, tornare in 
piazza sia 
pure in piccolo, non in Piazza Rabin ma di fronte al Museo di Tel 
Aviv, si 
può , di deve» . 
Si può , va bene, si deve: ma servirà ancora a qualcosa? Quando ha 
visto i 
corpi dei soldati linciati sbranati e lanciati dalla finestra, cosa 
ha 
sentito? 
« Tutto quello che si può immaginare: rabbia, voglia di piangere, 
disgusto. 
Sono corso alle nostre postazioni di propaganda in centro, a 
Gerusalemme, e 
le ho fatte sgomberare in fretta e furia mentre la gente d'intorno 
già 
cominciava a insultarci, a mandarci via. Mia moglie mi ha detto 
mentre 
uscivo: eccoli i tuoi amici palestinesi, guarda cosa fanno. Il 
telefonino 
già squillava: erano, appunto, i miei amici palestinesi di Ramallah o 
di 
Gerusalemme che mi volevano dire: mi vergogno...» 
E come si sente adesso quando li incontra? E' pronto a lottare al 
loro 
fianco? 
« L'ultima riunione che abbiamo tenuto insieme all'Orient House, a 
Gerusalemme Est, con Feisal Husseini, Ziad Abu Ziad ed altri leader è 
stata 
molto difficile. Per due ore abbiamo parlato, e per la prima volta 
nella mia 
vita non mi hanno offerto neppure il caffè » . 
Lei gliel'avrebbe offerto? 
« Certo che sì : magari sono più politico. Di certo, se ora incontro 
Arafat, 
cosa che accade spesso, non lo bacerò tre volte sulle guance come 
vuole la 
consuetudine. Mi limiterò a stringergli la mano» . 
Eppure, è di nuovo in piazza. 
« Vede, il campo della pace è ora in difficoltà per due ragioni. La 
prima è 
che noi siamo un gruppo pragmatico,non ideologico: è difficile 
sostenere la 
pace quando Arafat fa il giuoco del "tutto o niente". Deve tornare 
alla 
politica, senza stare a sbandierare tutto il tempo le sue ragioni, e 
come 
dicevo, capire che Barak è per lui il migliore degli interlocutori 
possibili. Eppure lui stesso lo sta distruggendo o costringendo a un 
governo 
con il Likud, che noi non accetteremo mai. La seconda ragione, è che 
Arafat 
ha preso nelle sue mani la bandiera islamica religiosa, le Moschee, 
il 
destino scritto nel Corano...Ma questo non è , evidentemente, un campo 
in cui 
lo possa seguire il movimento pacifista laico e di sinistra. Siamo di 
fronte 
a dei cambiamenti di rotta del campo palestinese, e dobbiamo stare 
attenti 
che questo non sconcerti il nostro campo» . 
E come intendete fare? 
« Restando pragmatici e laici. Dicendo a Barak: lascia perdere quel 
Monte del 
Tempio, o delle Moschee che dir si voglia. Fra tre generazioni, i 
nostri 
nipoti rideranno della questione della bandiera che deve sventolare 
là 
sopra. Dicendo a Arafat: prendi il massimo, ma non chiedere tutto o 
non 
avrai nulla. Dicendo a tutti e due: sedetevi al tavolo della pace, 
conviene 
a tutti» . 
            