MEIR LAU, IL CAPO RELIGIOSO DEGLI ASHKENAZITI « Io, rabbino, chiedo ai muftí di fermare i giovani kamikaze»
martedì 14 agosto 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL rabbino capo di Israele Meir Lau, il capo coperto dall'alto
cappello
all'uso ashkenazita, il volto cortese incorniciato da una breve barba
(niente riccioli laterali) è un uomo di riconosciuta influenza sul
dialogo
fra le tre religioni monoteiste. Teologo insigne, amico del Papa, in
continuo colloquio con le principali autorità musulmane, sempre
pacato e
tranquillo, essendo lui stesso un sopravvissuto dell'Olocausto ed
essendo
l'intera sua famiglia perita in un campo di concentramento, ha ogni
titolo
per lanciare un appello ai credenti, e soprattutto alle autorità
religiose
musulmane che indirizzano l'opinione pubblica dei giovani musulmani.
La sua
intenzione: combattere il suicidio terrorista, secondo ogni
religione, dice
Lau, il più grande dei peccati. Rivela una sua attività segreta
durante
questi mesi di Intifada; invita i musulmani a aprirsi a un dialogo
per amore
del Dio di Abramo, il Dio delle tre religioni monoteiste.
Rav Lau, l'abbiamo vista in questi giorno ai funerali della vittime
degli
attentati e anche negli ospedali in visita ai feriti, e ci è apparso
particolarmente sofferente e pensoso.
« E' così : abbiamo assistito a scene incredibili, quando sono andato a
seppellire la famiglia olandese di cui sono stati uccisi nello
scoppio di
Giovedì cinque membri di cui tre bambini, intanto stavano scavando
tutt'intorno altre tombe, per altri bambini, per una donna incinta,
per dei
giovani. La sofferenza è indicibile, soprattutto se si pensa che un
giovane
uomo se ne parte da un villaggio avendo esattamente in mente che cosa
andrà
a fare: lui conosce già quelle scene, quel sangue, quegli urli. Le ha
viste
in televisione, e adesso sa che fra i cadaveri ci sarà anche il suo.
Va
apposta per uccidere delle creature innocenti, e perde, per farlo,
anche
anche la propria vita. E si ritiene pio, religioso! Non si può
pensare
niente di più orribile, di fronte a Dio che ci ha affidato la vita
come il
bene più prezioso» .
Lei pensa che il mondo musulmano non senta questo problema?
« Non generalizziamo. C'è chi si pone il problema, ma certo non li
posso
citare. Tuttavia ci sono saggi con cui si parla, con cui si cercano
soluzioni. Esaminando i fatti, posso dirle prima di tutto quello che
si
vede: lo shahid, il martire, è diventato un tema molto importante nel
mondo
musulmano. La sua mamma soffre, come ogni madre, ma intorno molti
gioiscono.
Ora, io credo (e non voglio parlare per nessuno, I musulmani ne sanno
ben
più di me) che il suicidio sia comunque un delitto teologicamente e
eticamente inaccettabile, e ancora più orribile quando è compiuto per
uccidere. Nessuno, dico nessuno, può pensare che un suicida possa
andare in
Paradiso prendendo la propria vita e l'altrui. Dirò il punto di vista
ebraico, e credo che si possa concordare su questo: l'ebraismo pensa
che il
corpo è l'ospite temporaneo dell'anima, con esso perfettamente
integrato,
pegno di Dio. « non ucciderai nessuno spirito» dice la Scrittura,
stabilendo
così che lo spirito è un tutt'uno col corpo. E' vietato distruggere
l'ospite, parte integrante del pegno di Dio. Non sei padrone del tuo
corpo,
così come solo Dio è padrone della tua anima. Suicidarsi è né più né
meno
che un crimine, un omicidio, moltiplicato all'infinito se lo fai per
uccidere altri, e ancor più se si tratta di innocenti a tutti gli
effetti.
Dunque secondo me è sciocco il giovane che pensa di guadagnarsi così
il
Giardino dell'Eden, e malvagio chi lo convince di questo» .
Ma è ormai un'impresa così diffusa che sembra inarrestabile.
« Tuttavia vorrei dire agli aspiranti shahid: non siate degli
sciocchi, e non
date ascolto ai cattivi. Non c'è il Paradiso per chi dà al suo
prossimo
l'inferno. In nessuna religione. E voglio dire ai saggi dell'Islam:
dove
siete? Condannate il terrorismo suicida, condannate chi uccide degli
innocenti, non mandate dei giovani a morire e a uccidere, non toccate
i
bambini. E ai padri di famiglia di Hamas, che sono religiosi: tenete
i
vostri figli a casa, spiegategli che il suicidio è peccato» .
Lei pensa che un rabbino possa convincere un aspirante suicida
musulmano?
« C'è un elemento estremista, c'è uno sceicco Yassin che dice "bambini
non
tirate le pietre, tirate le bombe". Là , non si convince facilmente
nessuno.
Ma ci sono anche religiosi importanti che mi stringono la mano di
nascosto.
Poco tempo fa un muftí mi ha detto, a un incontro interreligioso: ti
stringo
la mano prima della cerimonia perché mai potrei stringertela in
pubblico» .
« E voglio dunque raccontarle che Majad Jalmud, di 5 anni, è stato
ferito
qualche giorno fa dai soldati israeliani perché si trovava in una
macchina
che ha passato a tutta velocità il check point di Tulkarem. I soldati
hanno
sparato, pensando che ci fossero dentro dei terroristi. Il bambino,
ferito,
è stato portato all'ospedale Sheba di Tel Aviv: chi è andato
silenziosamente
a trovarlo, a tenergli la mano e fargli compagnia? Il rabbino capo di
Israele, io stesso. Chi è andato a trovare un vecchio arabo musulmano
ferito
nella stessa circostanza? Sempre il rabbino capo. Chi dal beduino
ferito
Amir El Zaitaba? E chi va da Bassam Diria, un giovane musulmano
ricoverato
all'ospedale di Tel Hashomer perché un gruppo di ebrei impazziti di
rabbia
dopo l'attentato di Natanya lo ha picchiato? Sempre io. Era ancora
senza
sensi sul letto dell'ospedale di Tel Hashomer, poteva essere il
terrorista
stesso. Ma è prima di tutto e soprattutto un uomo» .
« E in nome di questo uomo creato da Dio, chiedo ai miei colleghi e
compagni
musulmani: dove siete? Parlate» .