Medio Oriente, anno zero Dal Libano al Golan tutto torna in gioco
domenica 11 giugno 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Ci vorrà del tempo, ma adesso che Assad non è più là a tenere saldo
in mano
il potente scettro del rifiuto anti-israeliano, strumento di
aggregazione
interna alla Siria e di egemonia ideologica nel Medio Oriente, forse
le cose
cambieranno. Da quando l’ Egitto, con gli accordi di Camp David, aveva
messo
da parte la bandiera nasseriana dell’ espulsione dello Stato degli
ebrei
dalla mappa, Assad ne ha fatto invece un motivo strategico e
psicologico
fondamentale. Barak, infatti, fin dal primo momento aveva deciso di
affrontare la questione di petto comprendendone il valore strategico:
non a
caso per qualche mese dalla sua elezione, fino a quando la porta non
gli è
stata sbattuta in faccia, ha messo al primo posto la pace con la
Siria
suscitando le proteste di Arafat. Ma il primo ministro israeliano
pensava
che essa gli avrebbe aperto non solo un migliore rapporto anche coi
palestinesi, ma anche mille possibilità di interazione con il resto
del
mondo arabo, i sauditi e i Paesi del Golfo e che gli avrebbe
consentito
perfino qualche primo occhieggiamento con l’ Iran e tutti gli altri
Paesi
islamici che dedicano sforzi quotidiani alla deprecazione di Israele
e agli
aiuti al terrorismo che lo tormenta.
Anche Assad per un certo periodo, forse trascinato dalla corsa
impetuosa che
aveva preso la pace dall’ accordo di Oslo nel 1993, ha accarezzato
l’ idea dei
vantaggi americani della conciliazione regionale: era infatti assai
indebolito nell’ esercito dalla fine della Guerra Fredda, nel fisico
dalla
malattia, e nella tenuta politica da una crisi economica permanente
che ha
portato la disoccupazione al 30 per cento, le riserve petrolifere al
prosciugamento, le infrastrutture alla distruzione. Ma la sua
autentica
antipatia per Israele, e la sua incapacità di valutarne le mosse, lo
ha
inchiodato al suo antico ruolo.
Forse uno dei motivi psicologici di fondo del suo desiderio di
rivincita,
oltre che nelle molte guerre perdute, è l’ incredibile storia di Eli
Cohen,
la spia del Mossad che visse per tre anni letteralmente dentro la sua
più
interna cerchia di amici e di sodali, comunicando segreti militari
fondamentali una volta al mese, finché non fu scoperto. Assad lo
condannò
allora all’ impiccagione sulla piazza più grande di Damasco, e il suo
corpo
restò a lungo alla mercé dei corvi. Ancora oggi Israele non ne ha
ottenuto
indietro le spoglie. Era il maggio del 1965, due anni prima della
Guerra dei
Sei Giorni, la bruciante occupazione israeliana del Golan che era una
terrazza di importanza strategica per sovrastare tutta la Galilea,
una vera
rampa di lancio naturale per ogni impresa bellica.
La rottura dell’ integrità territoriale è stata per Assad motivo di
un’ acuta
sofferenza e di un vero desiderio di rimonta, che non si placò
affatto,
anzi, forse si rafforzò quando, dopo una mediazione a spoletta,
Kissinger
all’ indomani della guerra del Kippur (in cui la Siria si aspettava di
battere Israele presa di sorpresa) costrinse invece i soldati
israeliani
ormai accampati non lontano da Damasco a tornarsene a casa in pace e
a
restituire la cittadina di Kuneitra. Molti anni dopo, quando
nell’ ottobre
del ‘ 91 alla Conferenza di Madrid tutte le parti in causa
(israeliani,
palestinesi, giordani) facevano i loro sforzi per dare il via al
dialogo,
Faruk Ha Shara, il ministro degli Esteri alter ego di Assad, venuto
il suo
turno, in una sala tutta stucchi e ori, sfoderò una foto di Ytzchak
Shamir
con la scritta « wanted» e gli dette del terrorista.
Certo, questo fu vissuto forse dalla popolazione siriana come un
grande
gesto di autonomia e di coraggio, e probabilmente così è stata sempre
vissuta la collezione di appuntamenti mancati cui sono andati Israele
e
Siria. Wye Plantation al tempo di Netanyahu, e poi i due round di
Shephardstown dove Ha Shara a nome di Assad alzò il prezzo della pace
chiedendo anche un pezzo della sponda del Lago di Tiberiade: non
capiva che
Barak, vincolato a un referendum democratico, non avrebbe mai potuto
andare
oltre il limite già pesantissimo per il popolo di Israele di scendere
dalle
amate alture del Golan. Ha Shara aveva a Shephardstown lo stesso viso
duro e
sprezzante che mostrò a Madrid. Anche quando Barak si è ritirato dal
Libano,
Assad ha seguitato a minacciare e a dare via libera agli Hezbollah di
sparare le loro Katiuscia per alzare il prezzo di un’ uscita negoziata
in un
pacchetto conveniente per la Siria: e tutt’ ora le formazioni
estremiste
libanesi ricevono finanziamenti dalla Siria e armi che passano da
Damasco.
Insomma, Bashar, per quel che ne sappiamo oggi, ovvero che è un
ragazzo
cresciuto in Occidente e desideroso di modernizzare il suo Paese, non
potrà
che essere migliore di suo padre che lascia un Paese nella miseria e
in
stato di guerra. Israele ha già detto che è pronta a riaprire i
negoziati,
forse Bashar li potrà riprendere dal Golan, scordandosi del Lago di
Tiberiade.