MA NE’ L’ AMERICA NE’ L’ EUROPA SE LA SENTONO DI ABBANDONARE L’ ANZIANO LEADER Spunta un trio alle spalle del raí ss Barghuti, Rajub e Dahlan i can didati alla successione
sabato 15 dicembre 2001 La Stampa 0 commenti
                
GERUSALEMME 
GLI americani vogliono che seguiti a essere il capo dei palestinesi, 
lo 
vuole anche la Comunità Europea, come ha detto Solana in visita anche 
se ha 
esclamato: « Non sono uno psicologo, non riseco a capire Arafat» . Ma 
se 
davvero Arafat fosse giunto alla conclusione della sua rutilante, 
fatale 
carriera politica e sul serio si dovesse parlare di successione: « Qui 
sarebbe il caos» , dice Mahmoud Dahlan, che oltre essere un quasi 
cinquantenne capo dei servizi di sicurezza è un potentissimo membro 
della 
cerchia interna del rais, e uno dei candidati che meno dispiacerebbe 
agli 
americani. « Non sarebbe certo un caos peggiore di quello cui 
assistiamo 
oggi» , ribatte uno dei migliori esperti di cose palestinesi, il 
giornalista 
della radio militare israeliana, Zvi Yeheskyeli. 
Quello che è certo è che non c'è nessuno che abbia le caratteristiche 
carismatiche di Arafat, che non solo non ha consentito che si 
affacciasse 
nessun delfino, ma ha anche creato un sistema in cui questa strada ha 
molti 
fili spinati. Infatti, se Arafat venisse deposto o se ne andasse 
sarebbe 
come se improvvisamente il sole, intorno al quale i pianeti sono 
tenuti 
insieme e si muovono in base alla forza di gravità , venisse a 
sparire. 
Infatti il potere dei vari personaggi della gerarchia palestinese, 
vecchi 
dell'esilio tunisino e giovani dell' Intifada degli anni '80, è 
definita non 
altro che dalla vicinanza al rais, che varia nel tempo e a seconda 
delle 
circostanze politiche. Fatah, l'organizzazione di Arafat che consta 
di una 
serie di diversi corpi armati per un ammontare di circa 60mila uomini 
ha nei 
suoi esponenti molti candidati al potere, piccoli capi di piccoli 
eserciti. 
La sua derivazione più selvaggia, i Tanzim, letteralmente 
« l'Organizzazione» , ha una quantità smodata di armi e di voglia di 
potere. 
Nel momento in cui Arafat lasciasse il palcoscenico della politica, 
mancherebbe il criterio stesso di verifica del potere militare e 
politico, 
tutti varrebbero zero e mille, i luoghi di formazione dei leader come 
il 
Comitato Centrale del Fatah, il Consiglio Rivoluzionario e il 
Comitato 
Centrale, le sue centinaia di consiglieri, le sue migliaia 
(letteralmente) 
di direttori generali dei ministeri e uffici vari, i suoi uomini di 
fiducia 
si troverebbero in una deriva, l'uno contro l'altro. Ma c'è un 
animale 
selvaggio che è stato liberato dalla gabbia e che sarà il centro dei 
giochi 
di potere prossimi venturi, e non è Hamas, ma la forza armata 
popolare dei 
Tanzim, con a capo Marwan Barghuti, e gli altri uomini che hanno i 
fucili: 
ovvero i due capi dei servizi di sicurezza, Jibril Rajub e Mahmoud 
Dahlan. 
Questo è il trio pronto per il potere, non si sa se conteso o 
condiviso: 
Barghuti, Rajub e Dahlan, tutti e tre formatisi nella prima Intifada, 
tutti 
e tre con un curriculum di guerre e prigioni israeliane, nell'West 
Bank e a 
Gaza, e non nei vari esili e casematte di Arafat, in Libano o a 
Tunisi. 
Parlano ebraico, si fanno intervistare incessamente, specie Rajub e 
Barghuti. Sono dei duri ma pragmatici, sono decisi a far carriera: 
Rajub 
negli uffici della sua polizia non ha fatto appendere nessuna foto di 
Arafat. Solo la sua faccia senza sorriso, decisa, massiccia, con la 
barba 
malfatta campeggia sui muri. Rajub certamente sogna di vedere gli 
israeliani 
volare in mare, ma è un tipo molto pratico, spregiudicato, di cui si 
sa che 
ama il potere e anche i privilegi. Dispone di circa 3000 uomini suoi, 
li 
comanda con una voce roca e perentoria, da Padrino. Tutti elementi 
che ne 
fanno un buon candidato, come pensano anche gli americani. Anche 
Israele lo 
vede in segreto come uno con cui si possono fare affari. 
Dahlan è un temperamento più capriccioso e sensibile, ha una sua 
vasta base 
di uomini armati ormai molto arrabbiati e frementi, ultimamente si è 
voluto 
distinguere « dimettendosi» per qualche giorno dal suo posto e 
guadagnandosi 
con questo un vasto supporto di sinistra. Poi è tornato alla corte, 
ha 
abbracciato Arafat e ora aspetta gli eventi senza esporsi troppo. 
Barghuti 
ha un supporto popolare più grande di quello degli altri due: capo 
dei 
tanzim di Ramallah, povero e non intriso dei privilegi e delle 
prebende che 
inzuppano il potere corrotto dell'Autonomia, è molto amato dai suoi 
uomini 
che sono tanti e lo proteggono da vicino. « E' il solo - fa notare 
Yeheskyeli 
- che dall'inizio dell'Intifada abbia detto sempre la verità , ovvero 
che 
l'intenzione programmatica era quella di fare continui attacchi a 
Israele, e 
che il terrorismo gli sembrava giustificato» . Di fatto i suoi uomini 
hanno 
partecipato a molti attacchi terroristici a civili. Questo non l'ha 
reso 
particolarmente simpatico agli israeliani (Rajub ha condannato gli 
attentati 
diverse volte), ma molto alla gente dell'West Bank. 
Dunque il nuovo potere sarà duro e quaranta-conquantenne, se sarà ? 
Non è 
così semplice: la generazione dei vecchi, i tunisini, quelli in 
giacca e 
cravatta come Abu Alla e Abu Mazen, Saeb Erakat, hanno una cosa che 
gli 
altri non hanno: la consuetudine delle cose del mondo, la parlantina 
e 
l'inglese facile (Hanan Ashrawi, l'astuta coniatrice di tutti gli 
slogan che 
hanno forgiato l'opinione pubblica mondiale sul conflitto è un 
prodotto 
tipico di questa cultura internazionale). I due Abu potrebbero 
benissimo 
rientrare a far parte di un consiglio che li vedesse in prima fila 
sotto la 
luce delle telecamere, apparentemente moderati, mentre sullo sfondo 
si 
staglia il vero potere di questo conflitto, quello dei Tanzim, i 
giovani, 
che con le loro armi non solo possono minacciare gli israliani, ma 
anche 
tenere alla larga Hamas. Tutto questo se Arafat è davvero 
« irrilevante» come 
ha detto Sharon: ma questa per ora resta un'espressione che non 
indica una 
strada per il futuro, una via strategica fuori dall'era del rais. 
Anche 
oggi, per quanto Usa, Europa e Israele considerino Arafat un tipo 
assai 
problematico, pure non hanno di meglio. E nemmeno i palestinesi. 
            