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Ma che follia processare Netanyahu

giovedì 15 febbraio 2018 Il Giornale 0 commenti
Il Giornale, 15 febbraio 2018

Non posso immaginare gioia maggiore per: gli iraniani, i palestinesi, l'ultrasinistra europea, Obama, la Mogherini, i capi del movimento del BDS, la stampa politically correct, per tutti quelli che accusano Israele, sapendo di mentire, di essere la responsabile del blocco del processo di pace... Niente di meglio per loro della proposta della polizia israeliana al procuratore generale di incriminare il Primo Ministro Benjamin Netanyahu per corruzione, frode, abuso di fiducia, in due casi diversi investigati da più di un anno.

Netanyahu ha il consenso del suo Paese da un decennio, i sondaggi lo danno vincente anche alle prossime elezioni nel 2019; 15 volte sono falliti i tentativi di farlo fuori con i tribunali e non con le urne. I suoi avversari lo odiano di odio viscerale, come si può odiare solo un leader che non rischia la vita del suo Paese in cambio del consenso internazionale, che non si è piegato al conformismo dell'accordo con l'Iran e della favola bella dei confini del '67, identificando nei mantra del perbenismo UE e ONU un pericolo di sopravvivenza, che deve cercare la propria sicurezza solo con trattative dirette unite a deterrenza.

Netanyahu ha dichiarato che la relazione della polizia è "piena di pregiudizi e di estremismo, crivellata di buchi come un formaggio svizzero", e ha promesso che porterà a termine il suo mandato. Le due accuse di corruzione riguardano il fatto che Netanyahu avrebbe ricevuto dal suo amico uomo d'affari israeliani e produttore cinematografico Arnon Milchan, oltre che dall'australiano James Packer, regali per 750mila shekel, ovvero circa 180mila euro.

Si tratta dei famosi "sigari e champagne", niente denaro, ma il valore dei regali offerti nel corso di 20 anni di un rapporto molto stretto con tutta la famiglia. E' la cifra complessiva, che suddivisa porterebbe a meno di duecento euro al mese. Perché questo rappresenti corruzione, essa dovrebbe essere stata fornita in cambio di qualcosa, e così Netanyahu è accusato di aver aiutato l'amico con una legge che diminuisce le tasse di un cittadino che torna a vivere in Israele, cosa che il PM dice di aver ignorato completamente.

L'unica cosa di cui invece si dichiara colpevole è di aver aiutato Milchan a ottenere di nuovo, con telefonate, un visto negato dagli USA. Il Primo Ministro spiega che si fa per chiunque perda il visto USA per servizi a favore di Israele, e ricorda che anche Shimon Peres è stato grande amico di Milchan. Sul secondo caso, in una conversazione col padrone del giornale Yediot Aharonot Noni Mozes, si ipotizzava secondo la polizia una più favorevole copertura da parte del suo giornale in cambio di una riduzione della concorrenza del giornale che riflette le idee di Netnayahu, Israel Hayom. Netanyahu allarga le braccia e ricorda come ha difeso Israel Hayom dalla legge con cui lo si voleva bloccare in quanto giornale gratuito. La questione resta se i politici possano scambiare al telefono pensieri e proposte con i giornalisti e manager dei giornali senza essere accusati di corruzione.

Uno degli accusatori chiave di Netanyahu è un nemico politico giurato, Yair Lapid, che è in corsa per essere il prossimo Primo Ministro.
 
Ma è miope pensare a Israele come a un Paese di semplici scontri politici: si è messa in forse, con un gesto poliziesco guascone, una leadership audace che da decenni affronta pericoli estremi, che è tornata a un rapporto positivo con gli USA. Gerusalemme è riconosciuta come capitale; la questione iraniana è ormai sotto gli occhi del mondo; la leadership palestinese ha perso credibilità mentre il mondo sunnita  cerca il supporto israeliano; la vicenda siriana e libanese è cresciuta in aggressività ma è stata contenuta con maestria e durezza nello stesso tempo. La reazione americana è cauta: il consiglio poliziesco di incriminazione non vale finché non ci sia un giudizio. Ma per quanti invece il giudizio è di nuovo una scusa per dire sciocchezze su Israele, su Netanyahu, sulla pace... Povera pace.
   

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