LUNEDI’ PROSSIMO ALLA CORTE DELL’ AJA L’ UDIENZA CHE GERUSALEMME HA DEC ISO DI BOICOTTARE IL MURO Viaggio lungo il recinto che scandalizza il mondo
giovedì 19 febbraio 2004 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
COSTEGGIARE la barriera di difesa lungo la strada numero 6, nel centro-nord
di Israele, passare dalla barriera al muro e poi di nuovo alla barriera,
lungo i primi 148 chilometri costruiti fra Salem a Elkana, stupirsi dove il
cemento finisce con una torretta e una porta d’ accesso gialla da cui si
accede a Kalkiliya, e poi percorrere con una vettura blindata e la guida
dell’ esercito la zona che entra ed esce dal territorio israeliano, entra ed
esce dalla Linea Verde nell’ entroterra di Kalkiliya verso Tulkarem, è una
scossa elettrica. Solo vedendo il serpente che si arrampica su e giù per gli
uliveti e include o esclude Jayus o Salameh o Kfar Jamal si capisce quanto
dividere sia estraneo alla cultura cosmopolita dell’ Occidente volta ai
confini aperti, allo scambio e alla libertà di movimento.
Gli israeliani sembrano determinati ma sofferenti. Prima ancora che Shai, un
giovane colonnello, indichi teso: « Queste sono le due case che sono finite
sui tutti i teleschermi del mondo perché appartengono al villaggio di Aras,
da cui le divide la barriera» , già cerchi con gli occhi la speranza, vuoi
vedere fra gli ulivi il lavoro umano, e ce n’ è poco, con i trattori e gli
asini, un segno del disagio che certo provoca passare da una parte all’ altra
della filo spinato supertecnologico che divide ormai la casa dal campo. Shai
ricorda che ci sono stati 280 attacchi ben riusciti, con centinaia di morti,
nella zona del Nord dove è stato costruito il primo tratto di barriera: da
Jenin, Tulkarem, Kalkiliya e dintorni, paesi con la moschea e le case
bianche, sono usciti quasi tutti gli attacchi più efferati, da quello al
Dolphinarium di Tel Aviv a quello della terrorista del ristorante Maxim di
Haifa.
Nel panorama azzurrino delle rocce e degli ulivi e quasi più duro vedere
l’ alto recinto che i brevi tratti di muro ripresi dalle tv, quello lungo
l’ autostrada numero sei lungo Kalkilya e quello che divide Abu Dis, a
Gerusalemme Est: il recinto, dotato di 41 cancelli di facile accesso che
operano telematicamente, è un sipario trasparente; espone cioè il tragico
esperimento, il lavorio drammatico e irrisolto della guerra contro il
terrorismo di cui nessuno vuole sentire parlare proprio perché « non offre
nessuna scelta fuorchè chiudere fuori i terroristi cercando di salvare
vite» . I villaggi sono più silenziosi e abbandonati, è come un grande
sciopero di qua e di là dal recinto fra gli ulivi e sotto le moschee.
Nell’ imminenza del processo alla Corte di giustizia dell’ Aja, il 23 di
questo mese, Israele prepara una doppia linea di difesa contro l’ accusa di
aver violato la legalità internazionale e i diritti dei palestinesi: da una
parte rifiuterà la giurisdizione della Corte sul destino di « territori
disputati» , come Israele chiama la West Bank secondo la dizione della
risoluzione 242, perché si tratta di un argomento politico; mentre secondo
l’ Anp sono « territori palestinesi occupati» , come recita l’ atto di accusa.
Israele ancora spera che la Corte, anche a causa del fatto che ben 31 Paesi
hanno sottoposto all’ organismo un affidavit di rifiuto della giurisdizione,
abbandoni il caso. Ma se la Corte procederà , la difesa si svolgerà tutta
fuori dell’ aula, e il tema sarà uno e uno soltanto: questo recinto non lo
avremmo mai voluto, come dice il tenente colonnello che ci accompagna, ma
non se ne può fare a meno perché salva la vita dal terrore. I palestinesi
risponderanno che comunque rende impossibile la loro vita, accuseranno lo
Stato ebraico di razzismo e di subdola annessione. Ma Israele insisterà :
senza il recinto moriamo a centinaia, sugli autobus, in discoteca. Il muro è
amovibile, i morti giacciono per sempre.
La barriera fra centro-nord e Gerusalemme è costruita su circa 240
chilometri, di cui circa il 3% è muro. Entra ed esce dalla Linea Verde
ignorandola quando si tratta di insediamenti da preservare dagli attacchi o
di altre misure di sicurezza che i palestinesi leggono come annessioniste.
Quando saranno costruiti i previsti 728 chilometri, 8,3 chilometri saranno
muro. Le colonne di cemento ad Abu Dis coprono 1800 metri: sotto la loro
ombra non si può fare a meno di pensare alla disperazione che esse portano
nel quartiere al di là della muraglia. Ma, spiega un ufficiale, come sono
state tirate su in tre settimane, possono essere rimosse in fretta. Ma nel
frattempo le colonne guardano dall’ alto coperte di scritte infuriate
(« Welcome to ghetto» , « No a un altro muro del pianto» , « Pagato dagli Usa» ,
ecc.); ma da qui sono passati diciannove terroristi sucidi con la cintura
esplosiva, prima che ci fosse il muro. La barriera qui serve sia a impedire
gli spari o il lancio di granate e oggetti dalle alte case « al di là » , e
quindi raggiunge i nove metri, un’ altezza stupefacente.
Si intuisce una divisione fra due mondi, forse due capitali per due Stati. I
41 cancelli che collegano i paesi ai campi aprono tre volte al giorno e si
passa con carte di riconoscimento. Tanti meccanismi e molti tratti di
tracciato della barriera sono stati riveduti da quando fu eretta
frettolosamente al centro di Israele dall’ aprile 2002, dopo il terribile
attacco di Natanya, la prima sera di Pasqua: dopo gli attentati suicidi
lungo la strada numero 6 (l’ ultima fucilata dei cecchini cinque mesi fa,
proprio là davanti al muro, ha ucciso una bambina di sette anni che dormiva
sdraiata nella macchina dei nonni) si è costruito dopo molte esitazioni
quanto più in fretta si è potuto, e gli attentati sono diminuiti
verticalmente.
Adesso fra gli ulivi la strada tortuosa di sabbia costruita da ambedue i
lati del recinto cosicchè chi passa senza permesso lasci impronte non solo
elettroniche (la divisione non è mai elettrificata, ma manda segnali se
tagliata o toccata a un centro di sorveglianza) va cambiando gradualmente in
base alle esigenze della popolazione locale: servizi per i bambini che
devono andare a scuola, tunnel (come quello per unire Kalkiliya a Habla),
strade che unifichini popolazioni separate, abbandono di strade militari ad
uso civile locale, come da Tulkarem a Kalkiliya. Ma i criteri topografici
fondamentali per i quali la barriera deve essere muro quando si può sparare
addosso ai passanti dalle finestre di casa; o lo spazio circostante deve
essere abbastanza largo per facilitare i movimenti di cattura di infiltrati
(occorrono un paio di minuti da quando si scopre che qualcuno è entrato; o
l’ esigenza di farla passare dai posti più adatti a proteggere, quindi spesso
dalle alture ... questi sono criteri che si vedono bene sul tereno, tengono
sì conto della Linea Verde, ma solo quando non contrasta con
l’ esigenza-base, la difesa.