Lotta al virus, lotta per la libertà
sabato 14 marzo 2020 Il Giornale 1 commento
Il Giornale, 14 marzo 2020
Quando
ero piccola il corpo reale non era sostituibile col cyberspace. Adesso
il computer, lo smartphone, cercano di compiere la magia: allora, quando
mio padre era trattenuto nella Polonia comunista e il confine era
invalicabile, noi, mamma e figlie, non potevamo vistarlo né lui poteva
raggiungerci; solo un telefono nero su un tavolino a Firenze era tutto
quello che travalicava la separazione che durò ben quattro anni.
Quando
ci ritrovammo alla stazione di Firenze e lui arrivò trasfigurato,
magro, portando in regalo delle corone di funghi secchi e delle bambole
di legno, niente restò uguale. La vita che era enormemente cambiata con
la sua lontananza cambiò alle radici con la sua vicinanza. Fu illuminata
dalla libertà dell'uomo di andare, di muoversi, di scegliere il luogo
in cui essere, in compagnia di chi vuole. La dichiarazione Universale
dei Diritti dell'UOMO ne parla all'articolo 13 , "ognuno ha il diritto
di lasciare qualsiasi Paese e di ritornarci".
Oggi
la guerra contro il coronavirus ci ha portato a spogliarci di questo
diritto primario, io quaggiù in Medio Oriente, a Gerusalemme con parte
della mia famiglia, e un'altra parte è lassù in Italia; noi, con
disposizioni dure e importanti, le scuole chiuse, le riunioni limitate
nel numero, migliaia di segregati rientrati dall'estero, ma con un
numero relativamente basso di contagiati e nessun morto, grazie alla
tempestività delle misure; e di là, i miei cari e i miei amici nelle
loro stanze, in segregazione, col numero dei contagiati e anche dei
morti che fa lampeggiare la parola "pericolo" in rosso. Fra noi, gli
aeroporti vuoti, trasformati in monumenti marmorei all'era che non è con
noi.
Non posso più andare arrivare in tre
ore nei paesaggi e nel linguaggio della mia vita, fra i miei affetti.
Seguo i dibattiti in Italiano, ascolto i miei amici giornalisti cercare
di spremere saggezza e idee su una situazione impraticabile, sudo con
loro, vedo in tv Nicola Porro malato e mi spavento, chiamo e richiamo su
WhatsApp e su Skype le persone della mia vita, e certo, sono fortunata a
travalicare il confine su internet e non col telefono nero con cui
scambiavamo due dispendiose parole di amore col babbo prigioniero. Ogni
minuto, il telefonino cinguetta che è arrivata una barzelletta, una
battuta in italiano. Insieme, oltre il Mediterraneo.
Quando
ho coperto la caduta del Muro di Berlino vidi i bambini entrare in
massa nei grandi magazzini a Ovest; arrivarono di corsa e restarono
ipnotizzati, fermi, di fronte ai cioccolatini e ai giocattoli che
vedevano per la prima volta. Quei pochi isolati di libertà inauguravano
un mondo emotivo e conoscivo.
domenica 15 marzo 2020 09:41:12
anche io sono in una situazione simile al contrario di lei.infatti io sono in italia,in siracusa e non ho la possibilita' di stare con i miei figli in Israele .sono in solitudine in mezzo alla campagna ,vera quarantena che dura da mesi per una situa