LO STUDIOSO DEL MEDIO ORIENTE E DELL’ ISLAM Pipes: questa è zona di guerra contro l’ Occidente peccatore « Il territorio del conflitto israelo-palestinese è considerato centrale dagli integralisti, che si ano autoctoni come Hamas e Jihad o infiltrati»
giovedì 16 ottobre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL professor Daniel Pipes, americano, una celebrità nel campo degli studi
sul Medio Oriente e l'Islam, è stato recentemente designato da George Bush a
far parte della direzione del Consiglio per la pace, un organismo
governativo che studia la strategie americane. Una scelta contestata: Pipes
è noto per il suo diretto e duro approccio al problema del terrorismo. Lo
incontriamo a Gerusalemme dove partecipa a una conferenza del Jerusalem
Center sul tema: « Costruire la pace sulla verità » . Pipes è in partenza per
un giro di conferenze in Germania e poi a Roma, dove parlerà alla fondazione
Magna Charta. E’ molto dispiaciuto ma non sembra sorpreso dall'attacco
terroristico a Gaza contro un convoglio diplomatico americano.
Non è una scelta enormemente compromettente per il terrorismo palestinese?
Una scelta che lo mette definitivamente nello stesso paniere di Al Qaeda?
« E' presto per speculare troppo in profondità . Quello che si può dire è che
per l'integralismo islamico tutta la zona del conflitto israelo-palestinese
è zona di guerra, Dar el-Islam, contro l'Occidente usurpatore, coloniale,
peccatore, che si tratti di israeliani, di americani o di chiunque altro che
non appartenga all'Islam. Il territorio del conflitto israelo-palestinese è
enormemente centrale per gli integralisti, siano essi terroristi autoctoni
di Hamas e della Jihad, o infiltrati da altri Paesi e appartenenti ad altre
organizzazione, come Al Qaeda o Hezbollah. Bisogna ricordare che questa
terra non è stata cristiana o ebraica per secoli, fino al mandato
britannico. Gli americani sono i nemici occidentali per eccellenza: la
frustrazione musulmana dell'ultimo mezzo secolo nell'area del conflitto
israelo-palestinese è più acuta, qui dà luogo alle maggiori esplosioni, e la
sua posizione geografica la rende centrale» .
Ma un attacco come questo ha un connotato irrazionale, autolesionista, come
si vede dalle condanne che provengono dall'Autorità palestinese, da Arafat e
da Abu Ala. C'è differenza fra l'atteggiamento della leadership e quello di
chi ha perpetrato l'attacco?
« E’ difficile dirlo oggi. Quello che si può certo affermare è che, se
l'attacco è palestinese, in comune tra Arafat e i gruppi integralisti
religiosi c'è l'ambizione a conquistare tutta intera la terra di Palestina;
Hamas e la Jihad Islamica lo dicono chiaramente, cacceremo tutti gli ebrei,
batteremo l'Occidente corruttore. Arafat invece preferisce conservarsi
l'amicizia europea con varie mosse accattivanti che però non incidono sulla
sostanza della scelta; l'uso del terrorismo, poi, è un'arma strategica per
tutti, anche se Arafat può talvolta condannarlo in inglese, mentre Hamas lo
esalta apertamente anche davanti alle telecamere della Cnn. In una parola,
la terra nella jihad ha un valore sacro a tutti: chi secondo la religione e
la politica che ne viene ispirata la occupa, come Israele, o la domina, come
gli americani, è oggetto di odio e può essere attaccato da tutti i
jihadisti» .
Secondo questa visione Israele non ha legittimità , ma è una terra occupata
con intenti coloniali dagli ebrei « profeti» degli americani e quindi, in
defintiva, anche dagli americani.
« Proprio così : vorrei aggiungere che la lettura della storia che gli europei
danno aiuta questa interpretazione coloniale, che spinge alla jihad. Forse
l'Europa proietta su Israele e l'America il suo proprio passato coloniale;
forse, frustrata nei suoi tentativi di partecipare a trattative di pace
parteggia senza condizioni per la restituzione appunto, delle "colonie",
come si trattasse dell'Algeria, o di una lotta anti-apartheid» .
Come giudica la reazione di Sharon al terrorismo? I suoi duri attacchi in
Cisgiordania?
« Li giudico decisi, consistenti. Penso che Sharon si muove fra due barriere.
Da una parte quella della deterrenza verso il terrore, dall'altra quella dei
buoni rapporti con l'amministrazione americana. Da qui, forse, nella storia
israeliana in genere, anche l'errore principale nelle trattative di pace,
che continuano fino alla Road Map ma hanno il loro principale picco con
l'accordo di Oslo» .
Ovvero? Quale errore?
« Di gran lunga il più importante è quello di accettare una trattativa con un
nemico che non riconosce la legittimità alla tua esistenza. La decisione di
distruggere Israele non è stata mai annullata: nel ‘ 93 era stata messa
momentaneamente da parte in un momento di debolezza, dopo la Guerra del
Golfo. Nel 2000, una volta pronte le armi, Arafat la recuperò , anche
ispirato dal ritiro israeliano dal Libano. Tutti i programmi nazionali e
internazionali per promuovere uno Stato palestinese, erano e sono prematuri:
migliorare il sistema palestinese, creare una zona cuscinetto, combattere la
corruzione, fare un Piano Marshall, creare una forza internazionale, uscire
unilateralmente, lasciare i Territori o quant'altro... possono essere tutte
ottime idee se i palestinesi accetteranno, dimostrandolo nei fatti, uno
Stato ebraico. Altrimenti tutto è buttato al vento, è polvere e esplosioni,
è arena di terrorismo. Ci vorrà tempo perché i palestinesi capiscano che il
vecchio gioco è finito. Ma anche ci volessero vent’ anni, prima comunque la
pace non sarà possibile» .