LO SCHIAFFO Dissolti tremila anni di lacrime e baci
venerdì 25 febbraio 1994 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME CHE cosa hanno lavato quegli improvvidi getti di acqua
bollente schiaffeggiando il volto quasi trimillenario del Muro del
Pianto? Ben più delle concrezioni di polvere: sono volati via nel
vapore caldo le impronte di milioni di mani di ebrei che hanno
toccato il Muro come un approdo sognato da sempre; sono saltati dalle
feritoie delle pietre ciclopiche i bigliettini che i visitatori usano
infilarvi per chiedere una grazia impossibile, per esprimere su
quella rampa di sogni in contatto diretto col Padreterno il desiderio
più caro. Sono sparite le tracce dei baci, del sudore, delle
lacrime. Che cos’è il Muro del Pianto? In sé e per sé è un alto
bastione che costituiva la difesa occidentale del Secondo Tempio,
costruito nel 600 a.C. e distrutto dai romani nel 70 d.C. Il Tempio
intero era una costruzione immane, meravigliosa, fatta di pietre
immense, di legno di cedro, di marmi, di tutti i materiali preziosi
disponibili a quel tempo. Era il cuore della vita ebraica e
soprattutto il luogo del Sancta Sanctorum, che conteneva le parole
della Legge incise sulle tavole date a Mosè da Dio nel Sinai e
trasportate nell’Arca che finalmente aveva trovato pace in
Gerusalemme. Le regole secondo le quali il Tempio era stato costruito
erano esse stesse dettate dal Cielo; la vita sociale, commerciale,
politica degli ebrei aveva il suo cuore dentro il Tempio. E finché
esso non verrà ricostruito, dice la Scrittura, il Messia non potrà
venire. Ancora al giorno d’oggi nel giorno di Tisha Be Av, il 9 del
mese di Av, gli ebrei religiosi si gettano per terra in singhiozzi
davanti al Muro del Pianto, e piangono il terribile evento di quella
data: la distruzione dell’intera Sinagoga, che rappresentò la
dispersione degli ebrei della diaspora, e quindi la fine di Israele.
Il Muro è rimasto nei secoli, dunque, l’unico visibile frammento di
un’identità ebraica fisicamente identificabile, il simbolo del
legame stesso fra gli ebrei e Gerusalemme, fra gli ebrei e Israele.
Il Muro è il primo luogo cui si slanciano gli ebrei religiosi e
laici provenienti da tutto il mondo: solo quando lo tocchi adempi al
voto . Sotto il Muro si svolge il Bar
Mitzva dei ragazzini, la maggior età religiosa che si passa a 13
anni. Presso il Muro si compie continuamente quella strana mistura
fra secolare e religioso che caratterizza il popolo ebraico: i
soldati giurano sotto quelle grandi pietre fedeltà allo Stato e
ricevono in mano la Torah, cioè la Bibbia. I religiosi ballano in
cerchio tutti vestiti di nero abbracciando i rotoli della Torah. Gli
stessi religiosi, però , durante la guerra del Golfo stazionavano in
permanenza in preghiera sotto il Muro chiedendo a Dio di risparmiare
il Paese. Il moderno Stato d’Israele basa la sua identità tanto
sulla fotografia di David Ben Gurion che annuncia dal bancone
l’acquisita indipendenza nel 1948, quanto sull’immagine, ormai
diventata epos, dei tre paracadutisti che alla fine della Guerra dei
Sei Giorni, nel 1967, toccano, commossi fino alle lacrime nonostante
il loro aspetto pienamente secolare, il Muro che fino ad allora era
appartenuto alla parte giordana ed era vietato agli ebrei. Presso il
Muro stazionano i pazzi travestiti da Re David, che suonano l’arpa;
indossano una corona dorata di cartone. I fanatici ti corrono dietro
perché le donne si coprano la testa e le gambe; i religiosi chiedono
agli uomini di indossare i filatteri. I soldati frugano la borsa
delle donne temendo che nasconda qualche ordigno. Ai tempi dei
giordani, di fronte al Muro del Pianto c’erano stradicciole e casette
che nel ‘67 hanno lasciato posto a un piazzale molto discusso da
urbanisti e architetti: ma Israele a quei tempi pensava poco
all’urbanistica e all’archeologia, e molto più all’identità
nazionale. Ben Gurion, per unire definitivamente la città , disse
d’un tratto che bisognava addirittura buttarne giù le mura. Per
fortuna il progetto rimase lettera morta, e piano piano, durante il
regno venticinquennale e appena conclusosi del grande sindaco Teddy
Kollek, si è cominciato a capire che Gerusalemme è città preziosa
per l’intera storia del mondo, per l’intera storia dell’archeologia,
oltre che per quella degli ebrei. Quei getti d’acqua bollente sono
stati certo un gesto frettoloso d’ignoranza, e un po’ un peccato di
troppo amore. Come un desiderio di assettare la propria casa prima
delle feste di Pasqua. Dimentichi magari, ebrei, che sopra il Muro,
dalla Moschea di Al Aqsa, che si dice sia collocata laddove proprio
stava l’Arca Santa, gli arabi si affacciano a guardare, vicinissimi.
Fiamma Nirenstein