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LO RITIENE GERUSALEMME « Il Raí ss non è così popolare»

martedì 23 aprile 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein GERUSALEMME Un’ alta fonte governativa, e anche inconsueta: di più non possiamo dire. Un incontro di cui niente può essere citato letteralmente, ma fonte di informazioni rilevanti. La prima riguarda Arafat e la sua successione. Arafat è oggi l'eroe del campo palestinese e oltre, ha trovato slogan che incantano e eccitano la piazza nell'invocare il martirio per sé e per tanti altri « shahid» che dovrebbero marciare a migliaia su Gerusalemme. Ma le cose non starebbero del tutto così : ci sarebbe un ripensamento profondo, persino una crisi di coscienza non soltanto fra i leader della prima e della seconda fila vicino ad Arafat, ma anche, pare, fra la gente che si rende conto di stare gettando via la propria esistenza e quella dei propri figli, di cui vorrebbero fare avvocati, bottegai, tassisti, dottori, contadini, e non martiri. Insomma, dalle parole che ascoltiamo, si capisce che Israele pensa ancora che con Arafat la partita sia tutt'altro che chiusa, anche se l'uomo in questo momento è al centro dei cuori palestinesi, forse anche perché è rinchiuso a Ramallah. Ma il fatto che come un imperatore cinese debba trascinare in una lotta mortale il suo popolo, no, questo non è detto, almeno non per sempre. E se dovesse per qualche ragione cedere il posto, allora ci sarebbe a sostituirlo gente giovane, gente più moderata e decisa a vivere e a fondare uno Stato Palestinese. I palestinesi non si metterebbero di nuovo nelle mani di chi potrebbe riportarli in una spirale di morte, tantomeno per motivi religiosi. In una parola: Hamas non prenderebbe il potere se Arafat dovesse cedere il passo. E così come si può intendere possibile una soluzione moderata da parte palestinese, la nostra fonte vede positivamente anche il comportamento delle leadership mediorientali, o almeno di buona parte. Non ci sarà guerra d'area. Mubarak ha reso chiaro in svariate interviste che, anche se il suo cuore è tutto con i palestinesi, anche se Israele merita accuse e anche minacce, pure la guerra non gli interessa, e anzi, guai a chi la evoca. Si possono interrompere i rapporti con Israele, come è stato fatto, per placare la piazza estremista che vuole scendere in campo in armi, ma guai a chi si azzarda a rompere gli equilibri. L'accordo di Camp David (fra Begin e Sadat) è sempre buono per l'Egitto. Lo stesso atteggiamento si può attribuire a re Abdullah di Giordania, nonostante la sua costituency sia in gran parte palestinese come del resto sua moglie Rania. Abdullah considera che la pace sia il suo maggiore interesse, non manderà mai uomini armati in aiuto di Arafat. E lo stesso si può affermare, anche se in questo caso meno palesemente, dell'Africa del Nord (il re del Marocco ha avuto una lunga conversazione telefonica con Sharon proprio in questi giorni) e anche, nuova e piacevole sorpresa, dell' Arabia Saudita. Ma Abdullah, come molti hanno detto, ha fatto la sua proposta di pace perché vuole togliersi di dosso la ruggine con gli Stati Uniti, per pura tattica? Per public relations? La risposta, inusitata per un così alto personaggio israeliano, è « certo che no» . Anche i sauditi vogliono fare avanzare un orizzonte complessivo di pace, lo ritengono conveniente e, anzi, indispensabile. Tutto questo sullo sfondo di una parte di paesi mediorientali che invece ospitano il terrorismo, lo aiutano, lo finanziano, pensano allo scontro per l'eliminazione di Israele: l'Iran è il principe di questo schieramento, ma Bashar Assad ne è il giovane e ancora indefinito alleato. E se l'Iran dovesse raggiungere il suo fine strategico di realizzare la bomba atomica e le armi di distruzione di Israele, allora lo Stato Ebraico prenderà le sue misure, e certo non sarà solo.

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