LENI RIEFENSTAHL A ROMA MONDANITÀ GUARDONA E PROVINCIALE
mercoledì 9 aprile 1997 La Stampa 0 commenti
DÀ l'amaro in bocca la mistura che oggi ci tocca di bere. È
voyeurismo, provincialismo ed è anche questo fastidioso fenomeno per
cui, quando la sinistra tocca, come un angelo, un nome esso ne deve
per forza uscire lavato con la candeggina, come Carlo Schmitt o
Junger, dove c'era peraltro molta più sostanza che nella signora
Leni Riefenstahl, alias la protagonista artistica della vita del
Terzo Reich, alias la novantacinquenne che fornisce a Roma in questi
giorni un'incredibile photo opportunity di gruppo con svastiche in
cambio di un paio di firme, di una cassetta dell'Espresso, di una
mostra al Palazzo delle Esposizioni. Così , di questa stupefacente
Italia oggi davvero parlerà tutto il mondo per domandarsi come mai,
come può essere, che con tante belle opportunità culturali che a un
Paese come il nostro certo non mancano (quale artista non si
precipiterebbe alle condizioni della Leni?) noi siamo invece così
spiritosetti, così oltre il buonsenso, da pavesarci, appunto, di
svastiche come era pieno di svastichette a mò di ornamento
l'articolo con cui ieri descriveva l'ospite tedesca.
Sarà stata brava la Riefenstahl, sarà stata, come adesso si ama
ripetere, femminista... Ma anche se era indomita e forte nel suo
lavoro, capace di guardare e descrivere con la macchina da presa,
perché mai questo dovrebbe indurre un visitatore delle sue mostre o
lo spettatore dei suoi film a bendarsi gli occhi, a dimenticare quel
sorriso beota di cui in alcune foto la regista gratifica Hitler, un
sorriso degno di di Carlo Emilio Gadda. Il
destinatario del sorriso non era Fanfani, e neppure Berlusconi, e
nemmeno Berlinguer... Già è sempre stato sgradevole il sorriso
dell'intellettuale al potente, già il suo protendersi voluttuoso è
stato sempre sanzionato in quanto tale. Se poi il destinatario è
Hitler, è mai possibile che questo all'Italia non debba dire ormai
nient'altro più che una parolina sommessa: . E
poi, se invece il raggiante dispensatore di sorrisi è una donna di
cui è nota la più volte descritta indifferenza morale e la grande
voracità sociale in nome della propria (raffinata, graziosa... ma
che altro? forse geniale] ?) scelta estetica, anche quella di girare
un film come nel 1934, come si può
continuare a chiamarla femminista? La verità è che Leni
Riefenstahl, in questa circostanza, non è affatto qui esaltata come
femminista o come artista, benché certo nella vita abbia fatto delle
belle foto. Qui, e forse suo malgrado, si compie invece un evento
mediologico insano, si esibisce al pubblico un oggetto di guardonismo
cupo e che prescinde da ogni valore. Non mi si dica che chi compra la
cassetta della cineasta tedesca o chi va a vedere la mostra ci va per
partecipare a un evento estetico che mette da parte il fatto che essa
fosse la Ninfa Egeria del Fuhrer, di cui si mormora che sia stata
anche l'amante, e di cui comunque è stata il recipiente estetico
preferito, la confidente, la graziosa elevatrice di sentimenti. Non
è mestiere del cronista dire se siano brutti o belli i lavori della
Leni Riefenstahl: quando si guardano però tutti quei corpi gotici e
divinizzati, quegli affettuosi e paterni sorrisi del Fuhrer ai suoi
atleti, quelle folle in delirio e anche quei bei vestiti geometrici
plissettati, quei veli, quelle permanenti, quella fragilità femminea
che lascia però intravedere il balzo della walchiria (o della
kapò ), io, come il protagonista del film sulla tomba del
padre-aguzzino, sento di dover dire: . Certo non
dal punto di vista estetico. Non si sente altro che un friccico
mondano, o peggio, il disgusto della tragedia ridotta a friccico
mondano. Per finire con una nota personale: poiché lavoro
prevalentemente in Israele e sono una madre, mi capita di assistere
spesso a spettacoli di ragazzi che cantano, danzano e recitano.
Giovani ebrei di tutti i colori, intenti a esprimere la loro gioia di
vivere. Quando li vedo, mi viene a mente un pensiero elementare, e
tuttavia complesso quanto lo è l'istinto:
attimo vederli, quanto sarei contenta. Adesso mi è venuto il
pensiero opposto: quanto dolore proverei se Hitler potesse godersi la
festa della sua Leni. Fiamma Nirenstein