Leah pasionaria della pace Morta a Gerusalemme la vedova di Rabin
lunedì 13 novembre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
« CARO Yitzhak, oggi piove, e la pioggia cadendo a dirotto sul Monte
Herzl e
sui fiori sparsi sulla tua tomba, spegne le candele che la
circondano. E noi
stiamo qui a casa senza te. Soli, terribilmente soli. Tu non ci sei
più . Ti
hanno strappato a me, a noi.. Quant'è difficile la mattina alzarsi e
non
vederti, sedere al tavolo della prima colazione senza di te e sapere
che da
ora in poi sarà sempre così ..» . Così scriveva Leah Rabin poco dopo
che
avevano assassinato il suo Yitzhak in piazza Malchei Israel, a Tel
Aviv. Ha
resistito cinque anni e cinque giorni al distacco, e ieri a
mezzogiorno se
n'è andata anche lei. In coincidenza quasi precisa con la ricorrenza
dell'assassinio di Rabin.
Il suo saluto più tragico è stato dato in absentia, quasi fosse già
morta:
sabato della settimana scorsa la figlia Daliah l'ha letto al pubblico
riunito nella piazza che oggi porta il nome del Primo Ministro
ucciso,
perché i medici avevano proibito alla madre di uscire dall'ospedale.
Leah
avrebbe voluto ancora una volta, ricordando il suo amato, incitare di
persona la folla alla lotta per la pace, come ha fatto ogni anno e
ogni
volta che le era possibile. Ma il messaggio è risuonato comunque
forte e
fatale: la folla sapeva che dall'estate scorsa Leah lottava col
cancro, e
l’ avevano vista alla televisione negli ultimi giorni sempre acuta,
gli occhi
azzurri ben truccati di nero, i gioielli e i vestiti firmati come
piacevano
a lei, ma con la voce sempre più flebile e uno sguardo intenso come
per un
lungo addio alla sua amata Israele.
Leah e Rabin si erano sposati nel 1948, nell'anno della Guerra
d'Indipendenza. Insieme avevano sparato e insieme avevano combattuto
per la
pace. Come tutti i discorsi di commemorazione quello letto da Daliah
era
rivolto direttamente a Yitzhak: « Mio caro, stavolta non posso essere
in
prima fila, come ti avevo promesso che avrei sempre fatto, a parlare
in tuo
nome di pace» .
Questo era il ruolo che Leah si era scelto: la massima visibilità
agli occhi
del mondo perché le idee del marito, che aveva sempre condiviso pur
senza
mai rinunciare a dire la sua, potessero seguitare a vivere. Da
quando,
bellissima, all'età di 15 anni, era stata lei ad avvicinare a Tel
Aviv in
una gelateria il timido soldato del Palmach, il primo nucleo di
difesa
israeliano, i due non si erano mai più separati. Era una madre molto
ebrea,
patriarcale e regina di una grande famiglia che si riuniva nella sua
casa
come per un ordine del Cielo il venerdì sera, figli (oltre a Daliah,
il
minore, Yuval) e bambini.
Leah accompagnava Yitzhak in tutti i viaggi e, anzi, aveva difeso
Ehud Barak
a spada tratta quando aveva portato con sè la moglie Nava a Camp
David:
"Anche un primo Ministro si sente solo, ha bisogno di scambiare due
parole e
una carezza con la persona che gli è più cara" aveva dichiarato
pubblicamente. Era una elegante e colta compagna, sia quando Rabin
era
ambasciatore in America (anche se là un piccolo conto in dollari di
Leah
costrinse il marito a dimettersi dall'incarico), fino al momento in
cui
divenne al tempo dell'Intifada un durissimo Capo di Stato maggiore,
fino ad
accompagnarlo sulla strada della pace come ministro e Premier del suo
Paese.
Non stava mai un passo indietro rispetto a lui: faceva sempre sentire
la sua
opinione, faceva rapidamente amicizia con tutti e diventava a volte
nervosa
e prepotente soprattutto quando sentiva che suo marito veniva messo
in
discussione. Dopo l'assassinio di Rabin, non esitò affatto a mettere
sotto
accusa il Likud per non aver bloccato i coloni e la destra estrema
nel loro
odio verso il marito: in particolare, ha ripetuto varie volte la sua
antipatia per Bibi Netanyahu.
Leah aveva un ufficio, si occupava di varie imprese benefiche
soprattutto a
favore dei bambini autistici, aveva contatti intensi con la società
Vip di
tutto il mondo, e ciò palesemente le piaceva tanto che talvolta la
scabra e
modesta società israeliana gliel'aveva rimproverato. Leah poco dopo
l'assassinio pensò , forse anche per sfuggire al suo terribile dolore,
di
poter diventare ambasciatore negli Stati Uniti, o persino presidente
della
Repubblica.
Arafat, che nella notte dopo l'assassinio arrivò senza kefiah dentro
una
macchina fino alla sua casa di un sobborgo di Tel Aviv, le era
personalmente
simpatico; Clinton, che le ha telefonato ripetutamente nei giorni
scorsi,
era suo amico personale, eppure anche nelle ultime ore Leah gli ha
ricordato
certi impegni presi col Centro Rabin, di cui si era apparentemente
dimenticato. « Leah ha sempre amato fare e far valere le sue idee
insieme a
quelle di Yitzhak» . La cronista ama ricordarla, nella sua casa piena
di luce
e di stupore doloroso, con un maglione bianco e i pantaloni neri
mentre, il
giorno dopo l'assassinio di Rabin, abbraccia i nipoti e riesce a
scherzare.
E a un minuscolo pranzo di amici, curiosa e chiaccherina: una casa
modesta,
una conversazione colta e rilassata, un cibo preparato e servito
dalla
padrona di casa stessa. Aveva un bel tailleur chiaro, con i pantaloni
larghi. Presto, dopo pranzo, lei e il marito si scambiarono uno
sguardo
d'intesa: era sabato, era l'ora del riposo. Due battute, un bicchiere
di
vino rosso, e la coppia se ne andò nella quiete del giorno festivo a
riposare. Si volevano davvero bene.
UNA DONNA SIMBOLOTESTIMONE DELLA CONVIVENZA POSSIBILE CON GLI ARABI