LE TRAGICHE REGOLE DEL GIOCO MEDIORIENTALE Hezbollah, l'alibi di As sad Damasco gioca la carta delle milizie
sabato 26 giugno 1999 La Stampa 0 commenti
KIRIAT SHMONE
E’ metafisico vedere una manifestazione contro il cielo, contro le
bombe,
con i pugni levati per aria, le lacrime di rabbia negli occhi, le
bambine
spaventate che si stringono alla mamma, i ragazzi sefarditi con
l’ orecchino
che piangono davanti alle case distrutte e gridano « basta, facciamo
la
guerra! » . Nella cittadina di Kiriat Shmone, così ironicamente
pacifica in
mezzo ai pini della Galilea, questa è stata la reazione della gente
all’ attacco degli Hezbollah, appena temperata, giovedì dal senso di
essere
stati finalmente ascoltati quando Israele ha lanciato i suoi aerei
contro il
nemico con cui si batte in un corpo a corpo feroce quanto
inestricabile da
vent’ anni. Il terzo attacco in poche settimane alla cittadina povera
e ormai
nevrastenica dove invano tra le case bucherellate dalle schegge, il
sindaco
fa piantare fiori che sprofondano nelle buche create dalle bombe, è
diventato un casus belli che non si sa come andrà a finire. Hanno
dettato
legge i cittadini provenienti per la maggior parte dai Paesi africani
e
asiatici, che escono per la strada disperati, in canottiera in mezzo
alla
notte, che si raggomitolano sotto gli alberi quando gli scoppi
divengono
terrificanti, che devono continuamente cancellare matrimoni,
funerali,
lezioni ed esami (ieri quello di maturità ) perché ormai il calendario
contempla solo la voce « bombardamenti» . Il Capo di Stato Maggiore
Shaul
Mofaz nei giorni scorsi aveva protestato perché il governo Netanyahu,
ormai
agli sgoccioli in attesa del nuovo gabinetto di Ehud Barak, non dava
il via
all’ esercito dopo ben tre attacchi in poche settimane. Niente da
fare. La
politica di Bibi, che sta mettendo nelle casse le carte del suo
ufficio di
primo ministro, era quella di non mettersi in ulteriori guai e di
lasciare a
Barak la patata bollente. Ma le urla di ieri pomeriggio al funerale
di uno
dei due uccisi, Shimon Elimelech, un nome tipicamente sefardita di un
43enne
padre di quattro figli, esprimono nel modo più drammatico una paura,
una
rabbia, che non poteva essere trascurata: esse infatti sono per loro
natura
basilarmente popolari, e questo soprattutto per il luogo da cui
provengono.
Kiriat Shmone è infatti uno di quei luoghi di confine destinati ad
essere la
garitta di guardia del Paese, senza i quali Israele perde la sua
storia e i
suoi avamposti. Kiriat Shmone è stata più forte della opportunità
politica,
e così gli Hezbollah non hanno potuto approfittare interamente del
periodo
di interregno prima dell’ avvento di un governo di sinistra che può
distruggere la loro strategia, che è invece totalmente conflittuale.
Tutti sanno che gli Hezbollah smetteranno di sparare solo il giorno
in cui
Assad di Siria dirà loro che è giunto il momento di deporre le armi.
E,
gioco perfettamente mediorientale, proprio il giorno avanti sul
giornale
arabo che esce a Londra, « Al Hayatt» , Assad aveva chiamato Barak in
un’ intervista al suo biografo ufficiale Patrick Seale « un leader
forte e
onesto che vuole la pace» . Un complimento inaudito, quasi incredibile
da
parte dell’ irriducibile leader siriano, a cui Barak aveva risposto
con
altrettanta cortesia chiamando la Siria « il punto nodale della pace» ;
con
questo, aveva conferito ad Assad quel ruolo centrale nelle dinamiche
odierne
che il rais siriano pretende da tempo per sé , senza riuscire ad
ottenerlo.
Due messaggi che dovrebbero costituire il tappeto verde per il
prossimo
gioco di pace che il nuovo premier israeliano si prepara a
squadernare di
fronte ad Assad. E il tappeto sembra intatto, poiché le dichiarazioni
ufficiali di ieri da parte siriana accusano solo Netanyahu di tutti i
mali
del Libano. Barak non viene nominato.
Gli Hezbollah da parte loro hanno probabilmente compiuto in queste
settimane, con la loro pioggia di katiushe una forzatura politica per
invitare sia i libanesi che i siriani a tener conto di loro anche
nella
prospettiva di pace. D’ altra parte, per Assad non è male che Israele
debba
chiedergli come merce di scambio contro il Golan, che lui vorrebbe
tutto
intero, la cessazione delle ostilità dei guerriglieri.
Ma, e altrimenti di nuovo, non saremmo in Medio Oriente, anche per
Barak in
definitiva aver dato una bella dimostrazione di forza e persino di
spietata
abilità militare prima di eventuali colloqui, anche se non è stato
lui in
prima persona ad ordinarla, non è certo un dispiacere.
Quello che è certo è che in questa boxe fra le due parti c’ è un
tragico
elemento di verità : questo non è un luogo dove le paci firmate su un
pezzo
di carta sono il riflesso di un clima pacificato e sereno. La
serenità non è
di questi luoghi. L’ enigmatico e crudele Assad dovrà alla fine
sedersi di
fronte al duro Barak sapendo bene che non soltanto di terra si tratta
ma di
un odio che dai tempi della guerra del ‘ 78 è diventato sempre più
acuto. Gli
Hezbollah, dal Sud del Libano, sono ideologicamente determinati a
combattere
contro Israele e vedono in questo una ragione di vita per la loro
stessa
organizzazione. E gli israeliani non sono tipi che porgono l’ altra
guancia.
Di questa pasta è fatto il gioco, e così bisogna giocarlo.