Le rivoluzioni non sono tutte uguali. Scegliamo con chi stare.
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Il Giornale, 29 marzo 2011
Era tutto lontanissimo da noi, i dittatori mediorientali ultranazionalisti e corrotti, lo scontro fra sciiti e sunniti, le alleanze spurie fra questi e quelli, i loro disegni di dominio. Che ce ne importava, dopo tutto? Adesso che il Medio Oriente e l’Africa sono vicinissimi, questo zoom disegna campi, preferenze, aspettative che costringono l’Occidente a un corso accelerato di studi islamici. Dove ci porta tutto questo, che cosa dobbiamo auspicare, da che parte stare? Per ora la risposta è stata solo umanitaria, ma ben presto saremo costretti a chiederci quali dittatori è meglio che cadano e quali meglio che sopravvivano almeno un altro po'. Il fatto che l’esercito egiziano abbia fatto sapere che vuole restare ancora un po' al potere e non lasciare subito il campo libero, adesso che la Fratellanza Mussulmana ha mostrato la sua testa d’Idra ed è pronta a prendersi l’Egitto, può anche farci piacere senza doversi vergognare.
Oggi la maggiore sfida viene dalla ineludibile battaglia che si configura da quando la Siria è pesantemente in gioco. Niente è decisivo come Bashar Assad rispetto al nuovo equilibrio ambiziosamente disegnato in questi anni dall’Iran e, in parallelo e talora con azioni convergenti, anche dalla Turchia. Mentre Gheddafi è un attore importante ma distante e lo Yemen ribolle senza ancora prendere forma, mentre la Giordania ha un destino incerto, la Siria da una parte e il Bahrain dall’altra disegnano, comunque si concluda la storia, un conflitto di interessi fra i due maggiori attori sciita e sunnita, rispettivamente l’Iran e l’Arabia Saudita, quest’ultima intenta a bloccare la rivoluzione sciita nell’isoletta che sta di guardia al golfo del petrolio e che Teheran considera sua.
Non a caso Assad, ora in ritirata con la nomina di un nuovo governo tampone, accusa la rivoluzione di essere un’artificiosa mossa sunnita, non a caso i ribelli assicurano che si sono viste fra le forze di sicurezza che hanno fatto tanti morti fra i dimostranti, guardie che parlavano farsi e militanti di Hezbollah. Non è un caso neppure che Nasrallah abbia impartito ai suoi uomini che mensilmente vanno in pellegrinaggio religioso in Siria al santuario di Sayyeda Zainab il consiglio di sospendere il viaggio. E proprio in questi giorni e per chiudere il cerchio, il Bahrain ha presentato al governo libanese una protesta per l’incitamento di Nasrallah contro il governo di Manama. Il suo ministro degli esteri, lo sceicco Khaled bin Ahmed al Khalifa, ha infatti affermato e “non senza l’approvazione degli Stati del Golfo”, che il suo Paese non sarà morbido con chi promuove il terrorismo “non solo nel Bahrain, ma in altri paesi arabi”. Si può immaginare che in cima alla lista cui allude al Khalifa ci sia l’amica l’Arabia Saudita, odiata dall’Iran e dai suoi alleati e accorsa in aiuto dei sovrani. E qui, torna subito in mente la denuncia gridata di Gheddafi: la rivolta contro di me è di fatto frutto di una congiura saudita. Molti sono gli interessi, molti gli scontri.
La Turchia gioca a sua volta un grande gioco ottomano: benché sia una democrazia e questo la renda diversa dagli altri Stati mussulmani, in questi ultimi anni ha perseguitato stampa, militari, giudici, borghesia laica fino a suscitare risposte dure anche in piazza; inoltre ha stretto rapporti senza precedenti con la Siria, con cui era in conflitto fino alle minacce militari, e dal giugno 2010 tra il Golfo Persico, il Mar Caspio, il Mar Nero, Turchia, Siria, Iran, Russia, hanno elaborato una fitta rete di trattati strategici ed economici. Le visite reciproche fra Ahmadinejad ed Erdogan sono state molteplici, i loro trattati parecchi e il sostegno della Turchia all’Iran contro le sanzioni sul nucleare evidente e deciso quanto l’incitamento contro Israele, paragonabile solo a quello iraniano. Adesso la Turchia ha cercato di frenare la coalizione belligerante contro Gheddafi, fino a doversi tuttavia arrendere per non perdere il credito occidentale.
Sembra ieri quel 25 febbraio 2010 in cui a Damasco Bashar Assad ospitò una riunione di enorme importanza strategica: l’ospite d’onore era il presidente iraniano Ahmadinejad, applaudito, accanto all’azzimato padrone di casa, come un antico re persiano. E dopo la folla l’incontro rarissimo: Hassan Nasrallah, il capo degli Hezbollah, non si muove mai dal suo bunker a Beirut, ma stavolta era là insieme ai suoi sponsor e a Khaled Mashaal, il capo di Hamas. Qualche giorno dopo, la stessa riunione si è spostata a Teheran: vi parteciparono anche il capo della Jihad islamica Abdullah Sellah e per il Fronte della liberazione della Palestina, Ahmad Jibril e Maher Al Taheri. Un vertice che certo in queste ore in cui il potere siriano vacilla è oggetto di grande nostalgia per gli Ayatollah.
L’Iran da anni dunque costruisce una ragnatela di grande respiro con la Siria al centro. Quanto possa godere delle nuove rivoluzioni è risultato chiaro quando, pochi giorni fa, due navi iraniane hanno compiuto il loro ingresso nel Mediterraneo tramite il Canale di Suez approdando probabilmente con un carico d’armi nei porti della Siria. Tramite la Siria hanno raggiunto l’Iraq migliaia di guerriglieri, la Siria ha consegnato agli Hezbollah 40mila missili per distruggere Israele e a Hamas soldi e missili.
In una parola, si comprende che le rivoluzioni in corso sono varie per interesse strategico, che sempre di più si disegna nel futuro la loro appartenenza a due campi contrapposti, quello iraniano e quello saudita. Adesso che i dittatori cadono come foglie d’autunno, ci si impone una complessità di giudizio che derivi insieme dal nostro sacrosanto interesse di Paesi democratici come dall’ammirazione per i giovani in piazza. La Siria e il Bahrain, l’Egitto e la Libia non sono la stessa cosa, anche se è faticoso impararlo.
Not all revolutions are the same: we'd better learn it quickly
It was so far away from us; the corrupt, Islamic panarabist Middle Eastern dictators, the clash between Shiites and Sunnis, the spurious alliances between this and that group, their plans for the area egemony… What did we care, after all? But now that the Middle East and Africa are so close to us, we better get a look at the camps, preferences and expectations. The West must take an accelerated course in Islamic studies.
Where is all this leading us, what should we hope for, what side should we be on? For the time the answer has only been humanitarian, but soon we will be forced to ask ourselves which dictators we’d rather see toppled, and which we’d rather see survive at least a little longer. We can rightly feel relieved about the fact that the Egyptian army declared it wants to stay in power a bit longer now that the Muslim Brotherhood has revealed its Hydra head and is ready to take Egypt.
Today the greatest challenge is posed by the inevitable battle taking shape since Syria Nothing is as decisive as Bashar Assad when it comes to the new balance of power ambitiously mapped out by Iran in recent years, is on the move.and, to some extent, even by Turkey. Whilst Gaddafi is an important yet distant player, and Yemen simmers away without really taking shape, whilst Jordan looks to an uncertain future, Syria on one hand and Bahrain on the other are creating a clash of interests between the two greatest Shiite and Sunni players, Iran and Saudi Arabia. The latter is bent on halting the Shiite revolution on the little island guarding the petrol gulf, an island which Teheran considers its own.
It is no coincidence then that Assad, who is now taking a step backward with the appointment of a new fake government, is accusing the revolution of being an artificial Sunni move. Nor is it a coincidence the rebels claim according to which the security forces that are suppressing the demonstrators include guards speaking Farsi and Hezbollah militants. Nor indeed is it a coincidence that Nasrallah advised his men to put off their monthly religious pilgrimage to the Sayyeda Zainab sanctuary in Syria. And in the last few days, just to round things off, Bahrain has protested to the Lebanese government for Nasrallah’s incitement against Manama’s government. Indeed its Foreign Minister, Sheikh Khaled bin Ahmed al Khalifa stated, and “not without the approval of the Gulf States” that his country will not use kid gloves with those that promote terrorism “not just in Bahrain, but also in other Arab countries”. One can imagine that the list Al Khalifa refers to is headed by its friend Saudi Arabia, hated by Iran and its allies, which has rushed to assist the sovereigns. And here what springs immediately to mind is the attack hurled by Gaddafi: the uprising against me is the result of a Saudi plot. There are many interests involved and many internal clashes…
It seems just yesterday that 25 February 2010, when Bashar Assad hosted a meeting of enormous strategic importance in Damascus: the guest of honour was Iranian President Ahmadinejad, welcomed like an ancient Persian king. An extremely rare encounter, starring also Hassan Nasrallah, leader of Hezbollah, who never leaves his bunker in Beirut. But this time he was there together with his sponsors and with Khaled Mashaal, head of Hamas. A few days later, the same meeting moved to Teheran: it also saw the participation of the head of the Islamic Jihad, Abdullah Sellah, whilst the Palestine Liberation Front was represented by Ahmad Jibril and Maher Al Taheri. A summit which the Ayatollahs must be looking back on fondly, now that Syrian power has been shaken to its core.
For years Iran has been weaving its large-scale cobweb, with Syria at its centre. How much it is enjoying the new revolutions appeared clearly a few days ago, when two Iranian ships made their entrance into the Mediterranean through the Suez Canal, landing in a Syrian port, probably with a load of weapons. Thousands of guerrillas have reached Iraq through Syria. And Syria has also delivered 40,000 missiles to Hezbollah to destroy Israel, and money and missiles to Hamas…
nell'ottobre 2005 uscì un libretto distribuito tramite Panorama intitolato LE RIVOLUZIONE DEMOCRATICA CONTRO IL TERRORISMO diceva delle cose molto interessanti e tuttora attuali.Qualcuno lo ricorda?
Alba , Adria
Cara Ilaria Arri, qui non si parla affatto di cacciare dittatori e di libertà, ma di ben altro...Guarda chi guida i combattenti libici contro Gheddafi! Altro che libertà!http://online.wsj.com/article/SB10001424052748703712504576237042432212406.html?mod=WSJEurope_hpp_LEFTTopStories
carlo baldassi , udine
stavolta Fiamma devo essere d'accordo con te.Se la Siria è un problema noto, la Turchia è un problema ancora più delicato per noi europei.Per ora è meglio che essa stia alla finestra dell'EU.
michele lascaro , matera
Io dico che il mondo è diventato più pazzo e sta procedendo verso l'autodistruzione a grandi passi, questo perché non è rispettato il diritto elementare, e di tutti, alla vita. Non sono in grado di fare previsioni, ma il problema delle alleanze, per difendere l'anelito ad una vita serena, è diventato complicato e aleatorio.
Ilaria Arri , Rivoli (To)
Io penso solo a una cosa: é giusto che nei Paesi arabi si caccino via i dittatori. Così i vari popoli potranno vivere come noi, in Pace e in Libertà.
Dott. Sergio HaDaR Tezza , Turin, Italy
Siamo di fronte a due tipi diversi della stessa specie di serpente velenoso.Siamo di fronte a una minaccia mortale che si chiama Islam. L'Islam è un movimento politico-religioso totalitario e liberticida, il cui scopo è sottomettere i non musulmani, imporre la legge islamica e la dhimmitudine in tutto il mondo, attraverso la conquista degli stati con mezzi nascosti ed elettorali dove possibile, per mezzo del terrorismo dove necessario, e a volte con una combinazione dei due metodi. Ci sono centinaia di milioni di praticanti e credenti dell'Islam. Cercano di tranquillizzarvi dicendovi che non è che una religione, intesa in senso occidentale, il che è una menzogna. Lo fanno anche parlando di un'utopica "età d'oro" andalusa di fioritura e crescita, in cui - sostengono loro - l'Islam avrebbe coabitato pacificamente con Cristianesimo ed Ebraismo: peccato che non vi sia assolutamente una base storica ma solo propagandistica e ideologica a tale asserzione [vedi, fra gli altri, il libro: Eurabia, di Bat Yeor, che ha raccolto fonti a iosa].Non c’è rischio che i finti umanitari antisemiti, che si sono precipitati a bombardare la Libia in base alla pericolosissima teoria del "Responsibility to Protect" (applicata SOLO quando fa comodo, ma non in Darfour, o Siria, o Iran) e a prendere parte in un’insurrezione dalle dubbie origini, facciano alcunché contro la Siria anche se il regime dittatoriale Alawita massacrasse di nuovo 20.000 civili col gas come fece nel 1982 a Hama, quando soppresse un’insurrezione dei Fratelli Musulmani… (la solita alternativa della tosse o del catarro quando si ha a che fare col mondo musulmano che circonda Israele).IN SIRIA NON C’È PETROLIO e i Siriani sono troppo amici di coloro che il petrolio ce l’hanno e con cui i finti umanitari antisemiti hanno OTTIMI RAPPORTI: l’Iran!Del resto, dopo che toccano la Libia, se toccano anche la Siria, partono due dei maggiori partner economici dell’a-morale Italia nel Medio Oriente…(l’altro