LE PROSPETTIVE DELLA PACE DOPO IL TERREMOTO A DAMASCO Barak orfano di un sogno la stretta di mano col Leone
mercoledì 14 giugno 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
SE vogliamo disegnare il futuro del processo di pace dopo che Hafez
el-Assad è stato seppellito mentre la folla sveniva dal caldo e
dall’ eccitazione di un cambiamento simile a un salto nel buio, il
proscenio
è un paradosso. Infatti il più depresso, forse, e in definitiva
colpito al
cuore è il primo ministro israeliano Ehud Barak. Questa morte gli ha
sottratto per sempre la più storica e significativa di tutte le
fotografie,
quella della stretta di mano non solo col presente, ma anche con il
passato
d’ odio del rifiuto arabo verso Israele. Arafat ormai è un
antagonista-compagno di strada: la televisione lo ha inquadrato in
atteggiamento amichevole con leader israeliani che vanno da Rabin a
Peres a
Barak passando per Netanyahu, con cui si scambiava ampi sorrisi e
pacche
sulle spalle. La stretta di mano Barak-Assad sarebbe stata la vera
rottura
conoscitiva per il mondo arabo, il vero annuncio che si era conclusa
la
guerra con Israele, un evento simile al « no more war» di Sadat.
Era rimasto soprattutto Assad l’ autentico rappresentante di
un’ irriducibilità che preferiva la sicurezza della chiusura a
Internet, e
anche in definitiva allo sviluppo, e che giocava soprattutto il tema
dell’ onore per restare in gara. La grande photo-opportunity della
pace è
perduta per sempre.
Se mai Bashar, ammesso che lo voglia, arriverà a una stretta di mano
con
Barak attraversando la giungla delle parentele assatanate, delle
gerarchie
militari eccitate, e degli altri gruppi alla riscossa contro la
minoranza
alawita, sarà un evento che nell’ immediato potrà contare, ma che sarà
comunque impugnato da mille parti. E non soltanto dall’ interno della
Siria,
ma anche da parte di Stati che mai avrebbero osato contrapporsi
frontalmente
al vecchio leader del cipiglio antisraeliano. Primo fra tutti l’ Iran,
che ha
con Damasco un patto strategico anti-occidentale che si concretizza
anche
nel rifornimento di armi pagate dagli ayatollah, aviotrasportate e
smistate
a Damasco per gli Hezbollah e gli estremisti palestinesi.
E tuttavia nell’ immediato la pace potrebbe anche avvantaggiarsi del
nuovo
basso profilo, di una minore spettacolarità . Anche la Giordania ha a
sua
volta un leader giovane; Clinton, il grande tifoso della causa
mediorientale, sta per andarsene a casa; Arafat appare stanco e in
ogni caso
deve avviarsi alla chiusura della trattativa o allo scontro frontale,
poiché
ha fissato la data della nascita dello Stato palestinese al 13
settembre
prossimo; e ogni trattativa prima o poi deve comunque aver fine. Ci
sono le
condizioni per quella che potremmo chiamare la nuova pace in punta di
piedi.
La Albright in abito così comicamente luttuoso ieri, durante i
colloqui che
accompagnano sempre i matrimoni e le esequie degli uomini importanti,
ha
certo promesso a Bashar di aiutarlo a restare in sella e a battere il
suo 30
per cento di disoccupazione con gli altri guai che impestano la Siria
in
cambio di un po’ di pace. Sia lei sia Abdallah, che si è
generosamente
dichiarato collega di Bashar nel dovere di regnare in giovane età
benché lui
sia un vero principe dinastico, hanno portato una concreta proposta
di Barak
per la riapertura dei colloqui.
Arafat, la cui venuta era in forse fino all’ ultimo minuto a causa
della
ruggine con la Siria che data dagli accordi di Oslo, e nonostante
anche
l’ accoglienza di bassissimo profilo, si è mostrato molto interessato
a un
futuro di amicizia con Bashar: un rapporto con la Siria gli
consentirebbe di
sentirsi più forte nella trattativa riapertasi a Washington due
giorni or
sono e anche nei confronti dell’ integralismo islamico. E mentre
insiste sul
terzo ritiro che dovrebbe aver luogo, secondo gli accordi di Oslo,
entro il
23 di questo mese, non si pronuncia sulla sua disponibilità ad
accelerare
gli accordi-cornice - quello sui profughi, sugli indennizzi, sui
coloni,
forse su Gerusalemme - che gli israeliani invece vorrebbero
affrontare.
Aspetta per vedere se ha trovato nella Siria un nuovo partner. Barak
a sua
volta sembra deciso a fare a meno della grande scena perseguendo il
suo
disegno a tutti i costi: è per questo che pazienta all’ infinito con
Shas, il
partito dei religiosi sefarditi. A lui interessa solo arrivare a un
accordo
onnicomprensivo nell’ area, e ha già dato una prova concreta di
accettazione
del nuovo leader siriano: infatti, saputo della morte di Assad, ha
tenuto il
segreto per le tre ore cruciali all’ insediamento al potere di Bashar.
Infine: Bashar, per quanto riguarda il Libano, ha ereditato
un’ indicazione
di non eccessiva aggressività . Infatti gli Hezbollah, certo su
indicazione
siriana, hanno seguitato a infastidire Israele durante la ritirata,
ma non
hanno ucciso soldati di Gerusalemme né sparato katiushe. Assad, al
momento
della sua scomparsa, era indeciso sul da farsi in Libano, e sapeva
che ora
che Israele se n’ è andato non è più così facile sostenere agli occhi
del
mondo la guerriglia antisraeliana. Anche suo figlio lo sa. La
situazione è
quindi quella di osservazione e souplesse, in cui solo una cosa è
chiara: la
prima mossa per riavviare il processo di pace è che Bashar perda il
cipiglio
del padre. Oltretutto non passerà molto tempo prima che il Libano gli
chieda
a voce alta: « Se Israele se n’ è andato, cosa ci state a fare voi?» .