LE POSSIBILI STRATEGIE DI UN LEADER ELETTO CON I VOTI DI PROTESTA S trada minata per Sharon L’ incerto futuro del suo governo
mercoledì 7 febbraio 2001 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
C’ E’ chi gli dà sei mesi di vita; c’ è chi gliene dà tre. L’ avvento
al
potere di Ariel Sharon, la strana vicenda per cui il generale che
pareva
affondato per sempre in una visione passatista del conflitto
arabo-israeliano è stato invece incoronato primo ministro, ha un
domani
alquanto incerto. La sua unica salvezza sarebbe un governo di
coalizione,
del quale Sharon ha parlato per tutta la campagna elettorale e che ha
proposto al premier sconfitto subito dopo l’ annuncio della vittoria.
Ora che
Barak ha annunciato il ritiro, Sharon può sperare di trovare un
interlocutore più morbido e disponibile a trattare. Dentro il partito
laburista un minuto dopo la sconfitta si è aperta la lotta per la
successione: durante la notte subito è apparso quello che potrebbe
essere
l’ interlocutore ideale capace di trascinarsi dietro il partito,
ovvero
Peres. Con lui, infatti, Sharon ha parlato proprio negli istanti in
cui
Barak si stava dimettendo dalla leadeship. Certo il terremoto che
aspetta il
partito laborista rende il terreno di un governo di coalizione
particolarmente friabile, e quindi più realistica l’ ipotesi di un
governo
ristetto, pieno di esponenti politici « pericolosi» come Ivette
Lieberman,
l’ ex braccio destro di Netanyahu. Tuttavia a un cambio di leadership
nel
partito laborista potrebbe invece corrispondere l’ avvento di un
leader
disponibile come Abraham Burg, a cui in queste ore si contrappone
invece un
irriducuibile come Shlomo Ben Ami, ex ministro degli esteri.
Senza i laboristi, paradossalmente, Sharon è nei guai fino al collo:
se
formasse un governo ristretto alle destre, religiosi, coloni e parte
dei
russi, il suo immediato discredito sarebbe tale, in patria e nel
mondo, che
subito, alla più piccola mossa, cadrebbe in balia dell’ instabilità di
una
Camera, la Knesset, in cui i 120 deputati eletti costituirebbero la
medesima
massa di incertezze e di ricatti politici che ha causato la caduta di
Netanyahu prima e di Barak poi. Più dello scontro con i palestinesi,
Sharon
paventa le scadenze del bilancio, che deve affrontare addirittura
entro
dieci giorni e che deve essere approvato entro il 31 di marzo, pena
la
sfiducia. Ma Sharon non può fidarsi di un patto ristretto con i suoi
amici
di oggi, che pure sfiorerebbe la maggioranza: il voto che Sharon ha
ricevuto
ieri è un voto di rifiuto e di rabbia, non un voto di adesione
ideologica.
Tutti coloro che ne salutano con entusiasmo l’ elezione oggi
potrebbero
abbandonarlo in un attimo se le loro aspettative non fossero
soddisfatte, e
c’ è da giurare che le aspettative siano troppo grandi per le tasche
del
nuovo primo ministro: i religiosi di Shas non esitarono ad
abbandonare il
governo di Barak quando videro che non ne traevano i proventi
necessari per
le loro scuole e le loro istituzioni, e lo stesso può accadere con il
loro
nuovo alleato. I coloni considerano Sharon un salvatore momentaneo, e
certo
gli chiederanno in fretta di costruire, di impiantarsi su basi più
larghe e
anche di intervenire militarmente contro i palestinesi di cui
paventano gli
agguati quotidiani lungo le strade; non è detto che Sharon ci stia,
dato che
proprio su questo potrebbe accendersi la scintilla capace di
distruggerlo in
un incendio di disprezzo internazionale; ma allora, Sharon dovrà
prendersi
in pieno petto la disillusione di un gruppo sociale che si sente ai
margini,
la cui fiducia nella politica israeliana è a pezzi.
I russi sono conservatori ma laici, anzi, talora il loro ebraismo è
sospettato; molti, di fatto cristiani o di lontana ascendenza
ebraica, sono
immigrati sull’ onda dell’ esodo con lo scopo precipuo di togliersi dal
terremoto postsovietico: un’ eccessiva cedevolezza di Sharon ai
religiosi non
sarebbe accettata. Sarà soprattutto il gioco dei fondi per le scuole
e per
l’ assistenza o per i nuovi immigrati che potrebbe mettere a contrasto
fra di
loro i fragili alleati di Sharon. E allora sarebbero nuove elezioni,
stavolta non solo per il primo ministro, ma per la Knesset tutta
intera.
Probabilmente in questo caso la destra, sull’ onda della stessa
disillusione
che ha portato al potere « Arik» , crescerebbe. E qui rispunterebbe
fuori
Netanyahu, il vero nemico di Sharon.
Infine, Sharon avrà quasi certamente accoglienze molto particolari
dal mondo
arabo: Hamas e Hezbollah gli faranno festeggiamenti speciali, a suon
di
attentati, per dimostrare che non hanno paura di lui. E allora, che
cosa
farà Sharon? Che cosa deciderà al prossimo agguato dei Tanzim sulle
strade?
Al prossimo soldato ucciso, al prossimo bambino ferito? Probabilmente
agirà
attraverso un uso più duro e prolungato della chiusura dei Territori;
più
che l’ esercito cercherà di utilizzare il fatto che le risorse del
mondo
palestinese sono in gran parte in mano israeliana. Inoltre,
certamente si
avventurerà alla caccia dei responsabili delle azioni antisraeliane.
Cercherà di ristabilire una situazione di deterrenza, che blocchi
anche i
paesi arabi da una solidarietà troppo militante con i palestinesi.
Non è
detto che gli riesca. Di certo questo rallenterà le trattative, ma
anche
Sharon sa che nessuno in Israele, salvo qualche frangia estrema,
vuole
perdere la speranza della pace. E certo gli piacerebbe molto entrare
nei
libri di storia come un De Gaulle mediorentale.