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LE OCCASIONI DELLA PACE E I CALCOLI DELLA POLITICA Solo Arafat può salvare Barak Un accordo adesso rilancerebbe il premier

sabato 9 dicembre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME AGGUATI palestinesi ad auto private e autobus, carri armati israeliani che sparano, sette morti palestinesi e tre israeliani, feriti, sangue... Ancora mercoledì scorso, alle 8 di sera, nelle case, fra la gente, da ambedue le parti era rinato un abbozzo di sorriso. Si erano contati soltanto sei attacchi a fuoco in tutta la giornata, il numero più basso dall’ inizio degli scontri nove settimane or sono: in genere, gli scontri sono stati in media sessanta al giorno. E ieri, di nuovo, le dinamiche di guerra sono tornate ad essere terribili, i soliti campi di battaglia, Ramallah, Gaza, Gilo, ne sono stati i testimoni. I palestinesi attaccano, gli israeliani rispondono, e il risultato è l’ insopportabile conteggio che ieri è tornato ad essere tanto alto da far prevedere una catena di attacchi e ritorsioni ulteriori che risucchino di nuovo i contendenti in un baratro da cui tutto il mondo vorrebbe allontanarli. Eppure, Arafat fa periodicamente le sue dichiarazioni di buona volontà , Barak rafforza dei gesti di conciliazione nonostante i pressanti inviti dell’ opposizione a bloccare il flusso dei lavoratori in Israele, a non consentire l’ ingresso di rifornimenti industriali e alimentari, a bloccare gli accessi. Anche ieri ha riconfermato che le porte restano aperte nonostante tutto. Sta per giungere la commissione Mitchell per la verifica di come sono andati i fatti; gli Usa fanno un passo indietro per non irritare la parte araba; i francesi da parte loro, per non irritare invece Israele, fanno sapere che la pace è possibile se Arafat si mostrerà più flessibile sul Monte del Tempio; Barak in cambio comincia a far sapere al mondo che in fondo anche una commissione internazionale non è da rifiutare completamente... Tutto sembrava da un paio di giorni andare per il meglio. Ed ecco, il campo è di nuovo rovente. Perché tutto questo? E dove può portare? Un dato di fatto è evidente: Arafat non sa più se gli convenga affidare le proprie aspettative ad un leader in pericolo come Ehud Barak. Le indagini sul voto prossimo venturo lo danno per spacciato, vedono di nuovo Bibi Netanyahu in testa col 50 per cento delle preferenze e attribuiscono all’ attuale Primo Ministro soltanto il 27 per cento. Barak, come un leone ferito, è attaccato persino dai suoi più fidi: Chaim Ramon, che i comici rappresentavano addirittura come una testa di cervo che adornasse il muro retrostante la scrivania del capo, gli ha gridato sul viso davanti a tutti la sua sfiducia. Shimon Peres è ormai in grande rilancio e pensa addirittura di ripresentarsi come primo ministro tanto si avverte che il campo della pace ha disperatamente bisogno di un leader. Da Yossi Beilin a Shlomo Ben Ami, i ministri più vicini a Barak, lo stanno abbandonando. E dunque, se Barak è ormai un uomo così solo, in cambio di che cosa Arafat dovrebbe bloccare il suo campo, con uno sforzo immane e magari rimettendo in galera il terrorista di Hamas, Mohammed Def, il più pericoloso fra tutti gli uomini di Hamas usciti di soppiatto dalla prigione; o dando un ordine tassativo ai Tanzim, che non hanno ormai nessuna voglia di riporre le armi? Arafat sa benissimo che l’ unica chances di Barak per presentarsi all’ elettorato con in mano le carte della vittoria, risiede in qualche accordo con i palestinesi, o almeno in un cessate il fuoco che mostri agli israeliani che la pace è ancora a portata di mano, che il loro capo non ha sbagliato tutto. Un accordo con Arafat lo aiuterebbe a far dimenticare ai suoi che il Medio Oriente è sempre più minaccioso, che il nuovo rais siriano, Bashar Assad, stringe rapporti con Saddam Hussein, che dal Libano gli hezbollah sono più minacciosi di prima, che addirittura la Giordania e l’ Egitto non mostrano nessuna simpatia verso Israele. Solo Arafat può veramente votare per Barak, restituirgli l’ onore del suo campo, in generale restituirlo al campo della pace di fronte a un mondo israeliano sempre più sfiduciato, e di fronte al mondo palestinese, che ormai conosce più di ogni altra cosa parole d’ ordine di rifiuto e di guerra. Ma, si chiede Arafat, mi conviene resuscitare Barak? Per ora sembrerebbe che la risposta sia negativa. Sembra che al capo palestinese interessi e convenga di più che la situazione, giunta al calor bianco, richieda senza indugio l’ intervento di quella forza di interposizione internazionale di duemila uomini che egli da tempo richiede e che gli dovrebbe consentire di alzare di molto il suo prezzo. Ma sarà questo alla fine un calcolo giusto? E se nel campo israeliano non ci fosse nessuno migliore di Barak per la pace? E se Arafat, a forza di invitare la lepre a correre non la vedesse poi fuggire lontano senza remissione?

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