LE MINACCE IRANIANE CHI HA PAURA DEL VOTO DI BAGHDAD
venerdì 28 ottobre 2005 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
DOPO che il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha proferito la sua
inammissibile dichiarazione secondo cui Israele deve essere cancellata dalla
carta geografica, e chi oserà fra i Paesi arabi farci la pace « brucerà nel
fuoco della furia della nazione islamica» (una pesante minaccia ai Paesi
arabi moderati), sia Ariel Sharon che Shimon Peres hanno affermato che l’ Onu
deve espellere l’ Iran dal suo consesso, perché le dichiarazioni del suo
Presidente configurano un crimine verso l’ umanità . Peres ha aggiunto che le
dichiarazioni « sono ancora più gravi alla luce del tentativo di sviluppare
l’ arma nucleare e di rafforzare il suo sistema di missili a lunga gittata» .
Vero; ma non è solo per la minaccia contro Israele che Ahmadinejad deve
essere preso molto sul serio: quello che ha detto, se guardato bene, è una
summa strategica che ci mostra i pericoli che corre la grande rivoluzione
democratica del Medio Oriente. Ahmadinejad ha parlato non solo spinto
dall’ odio contro Israele, ma per descrivere un processo controrivoluzionario
in corso.
Non si può più dire che la rivoluzione democratica del Medio Oriente è una
forzatura, che è importata con la guerra e con essa morirà . Dopo che gli
iracheni hanno votato per la Costituzione sfidando di nuovo la morte, con
tanti altri segnali di risveglio dei popoli oppressi del Medio Oriente,
meglio guardare a che cosa impedisce che si compia la volontà popolare. E’
bene capire che il gioco è molto largo, l’ attentato di Hadera di mercoledì ,
per esempio, è una tipica operazione che serve a bloccare il processo di
pace e con esso la nascita di una democrazia palestinese. Vediamo come.
Il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad ha anche fatto una promessa: la
nuova ondata di attacchi palestinesi distruggerà Israele. Si tratta di una
frase propagandistica? Forse no. La Jihad islamica, che prende ordini
direttamente da Damasco ma che è fra tutte le organizzazioni terroriste
quella più direttamente ispirata dall’ Iran e ad esso legata, è il gruppo
che, dopo lo sgombero da Gaza, detiene il record di attentati. Inoltre con
sgomento Abu Mazen ha constatato che le Brigate di al Aqsa, appartenenti a
Fatah (Abu Mazen intende reclutarle nelle sue milizie per neutralizzarle)
operano apertamente con la Jihad islamica sia nella West Bank che a Gaza.
Lua’ i Sadi, il capo della Jihad che è stato ucciso dagli israeliani a
Tulkarem questa settimana, aveva formato una cellula dei due gruppi e lo
stesso era accaduto a Nablus e a Jenin. Mercoledì , dopo l’ attacco di Hadera,
le Brigate e la Jihad hanno tenuto una conferenza stampa insieme a Gaza per
rivendicare la responsabilità dell’ attacco. Decine di giornalisti erano
presenti e le forze di sicurezza palestinesi no. Perché Abbas, che pure
seguita a proclamare di fronte al Consiglio legislativo (l’ ultima volta
martedì ) che il terrorismo danneggia il suo popolo, e che promette che una
nuova pagina di democrazia si aprirà con la fondazione dello Stato in vista,
non riesce a reclutare almeno i suoi, le Brigate di al Aqsa, invece di
assistere tristemente alla loro unione con la Jihad? Perché l’ intervento
straniero, ovvero degli Hezbollah, tramite iraniano e siriano, fornisce agli
uomini delle Brigate denaro, tirocinio, armi più di lui. Probabilmente
quindi le parole di Mahmoud Ahmadinejad sono calibrate sulla galvanizzazione
di vecchie e nuove reclute. La Siria, nei guai in questi giorni, fornisce
rifugio a chi manda ordini da Damasco: al regime certo non conviene un
accordo palestinese con Israele. Abu Mazen si è lamentato che i rifugiati in
Libano ricevono armi dalla Siria. L’ ingerenza straniera che Abbas fronteggia
nell’ Autonomia la fronteggiano oggi gli iracheni che cercano la democrazia:
il flusso di uomini e denari dalle frontiere siriane e la presenza iraniana
rallentano il processo di democratizzazione con gli attentati. I sunniti se
non sorretti dall’ esterno hanno dato prova con la partecipazione al voto per
la Costituzione di potere convivere col nuovo processo storico. Il Libano
soffre ancora: gli Hezbollah, per quanto siano una forza autoctona, pure
sono legati a doppio filo alla Siria e all’ Iran. Ora questo dominio si va
sfilacciando sulla traccia dell’ indagine dell’ Onu, la strada giusta per
affrontare il tema di tutte le violenze esportate.