LE INSISTENZE USA PER UN NUOVO ASSETTO POLITICO NON CONSIDERANO QUANT O SIA ANCORA RADICATO IL POTERE DEL PRESIDENTE Non basta un governo per la Road Map I leader designati a guidarlo sono ancora nell’ ombra del Raí ss
venerdì 10 ottobre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
LE dimissioni di Abu Ala (che già si dicono quasi smentite) sono di nuovo
una di quelle scosse sismiche che la Terra produce prima di una grande
eruzione. Tali dimissioni hanno dei significati immediati e un significato
profondo: quelli immediati fanno centro sulla richiesta del Consiglio
legislativo palestinese di un governo regolare e non di emergenza per
evitare sull’ Autonomia palestinese una presa eccessiva di Arafat; persino
avendo varato un piccolo governo di otto ministri più Abu Ala (e tutti suoi
uomini, fuorché uno) Arafat si è affrettato ad affiancare tre consiglieri al
ministro degli Interni Nasser Yusuf (che non si presentò neppure martedì per
l’ insediamento).
E’ per questo strapotere così evidente nel piccolo governo di emergenza che
vuole diventare addirittura definitivo che Hanan Ashrawi ha parlato di
« crisi costituzionale» , ovvero della rottura di quel minimo di struttura
legale che l’ Autonomia s’ è data e a cui alcuni tengono. Lo strapotere
arafatiano comincia a pesare sulle spalle di molti. L’ uomo è ormai molto
anziano, malato, attaccato in maniera immobile e pietrificata alle sue idee
vecchie di quarant’ anni, e molti non si sentono più di deificarlo e
lasciargli fare il bello e cattivo tempo. Abu Ala si dimette non a caso
sull’ onda di una ribellione del Consiglio legislativo: per quanto fedele al
Raí ss, pure probabilmente coglie l’ occasione per fare avvertire la sua forza
di membro eletto del Parlamento, e quindi di politico con una sua base
specifica.
Sente, e ne cavalca l’ onda, lo stupore creatosi per la fretta e furia con
cui quel governo di emergenza si è dovuto fare per difendere Arafat,
l’ angoscia con cui lui stesso si è affannato per garantire non meno
corruzione e più lotta al terrore, non più legalità , ma soprattutto più
sicurezza per il Raí ss stesso: questa premessa infatti Abu Ala ha posto
sempre in testa ad ogni programma politico.Un prezzo che forse Abu Ala ha
pagato volentieri al suo antico patron. Ma forse gli appare troppo che il
Raí ss non lo lasci lavorare neppure nello scegliere e nel dare poteri
confacenti al ministro degli Interni che ha preferito.
Ma veniamo all’ aspetto di fondo del fallimento in corso: bisogna per questo
ricordare che la necessità di un primo ministro ipotizzata dagli americani,
fino a ieri parte soltanto dei sogni dei legislatori che preparano una
Costituzione per la Palestina, nasce insieme alla Road Map, ovvero con la
necessità internazionale di tornare ad un tavolo delle trattative. E’ utile
anche ricordare che il primo ministro palestinese nasce con la conclusione
della guerra in Iraq, nella speranza di un dono positivo al Medio Oriente.
Ancora dopo la cacciata di Abu Mazen, il 25 agosto Condoleeza Rize (dopo tre
attacchi dei terroristi suicidi che avevano ucciso 37 uomini, donne e
bambini in Israele) insisteva che c’ erano « progressi tra arabi e israeliani
verso la pace» ; e ancora una settimana fa Colin Powell, nel mezzo di una
serie di attentati, ha ripetuto che la Road Map è viva e vegeta. Queste
affermazioni servono a giustificare l’ insistenza di un lodevole tentativo
ulteriore di cambiare la situazione palestinese con un nuovo primo ministro
dopo che il precedente è stato defenestrato. Ma la Road Map è già fallita,
sia che Colin Powell lo voglia sapere oppure no: è fallita sulle ginocchia
di Arafat e nel momento stesso in cui Abu Mazen, dopo aver promesso di
perseguire i terroristi, si rimangiò la dichiarazione dichiarando poco dopo
che mai e poi mai avrebbe dato il via ad una guerra civile.
La lotta ai terroristi ed il sequestro delle armi era la premessa portante
della Road Map: tutto il resto vi era correlato, o ne era conseguenza. Abu
Ala ha fatto lo stesso di Abu Mazen e così facendo ha indebolito enormemente
il suo stesso potere di fronte all’ onnipotente raiss: il dichiarare tanto
spesso che il terrorismo è un’ arma di resistenza e condannarlo in inglese
mentre lo si esalta in arabo, è un modello che restituisce in pieno ad
Arafat lo scettro del potere e quello ideologico; vanifica ogni significato
del controllo, pur richiesto da Abu Ala, delle milizie; rende la loro
suddivisione fra poteri una questione di trattative interne, e non di linee
politiche.
E nelle trattative interne Arafat è sempre il più forte. Abu Mazen non era
affatto diverso da Abu Ala, per niente spurio rispetto alla storia del Fatah
o di Arafat stesso, anzi ne era uno dei famigli più stretti; lo stesso si
può dire di Abu Ala, stesse caratteristiche pacate, anche se il secondo uomo
è più di buon carattere e più discorsivo del primo. Ma come il primo Abu Ala
ha sempre dichiarato che non intende perseguire le organizzazioni
terroristiche e quindi « dar luogo a una guerra civile» . Al momento dunque è
a sua volta prigioniero dello stesso equivoco: ripercorrere la linea di
Arafat contendendogli il potere. Non si vede perché il Raí ss, tra tante
profferte e giuramenti di fedeltà , dovrebbe concedergliele. Solo un uomo
deciso a far la pace, ovvero a rinunciare concettualmente alle premesse
della guerra, cioè che cerchi sul serio la restituzione dei Territori non
usandola per mascherare il sogno di vedere Israele svanire, può restituire
vita alla Road Map e scuotere la società israeliana dalla convinzione di
trovarsi di fronte ad un nemico irriducibile con cui è troppo difficile
trattare.