LE GANG DI TERRORISTI CHE TENDONO AGGUATI ALLA MANIERA DI HAMAS ISRAE LE « Io ebreo, accusato di uccidere arabi»
sabato 20 settembre 2003 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL giovane uomo scende da un'auto che potrebbe servire giusto da
pollaio
per le galline, e si avvia verso l'appuntamento cui la cronista ha
dato la
caccia per più di un mese. Dinoccolato, alto, con lo zucchetto
rituale a
strisce di tutti i colori, i jeans distrutti dal tempo, uno scialle
di
preghiera che sembra l'arcobaleno, i riccioli biondo scuro da
cantante rock
degli Anni 70, cammina piano verso di noi nel parcheggio. E' nervoso,
fuma,
non ha mai parlato in vita sua con un giornalista. E d'un tratto sono
urla e
maledizioni: un giardiniere arabo lo ha avvistato, lo ha riconosciuto
dalle
foto sui giornali e lo rincorre gridando: « Assassino, terrorista» . Il
giovane uomo lo guarda senza espressione seguitando a muovere
lentamente
nella nostra direzione. Ci saluta, il giardiniere si allontana ma
continua:
« Assassino, terrorista» .
« Sono Sela Tor» si presenta il giovane. Potrebbe aggiungere: uscito
da pochi
giorni dalle celle dello Shin Bet, i servizi di sicurezza israeliani,
sezione ebrei, dopo 27 giorni di detenzione preventiva in cui non
sono
riusciti a provare nessuna delle accuse, anche se l'istruttoria per
omicidio
è ancora aperta. Accusato di: uso criminale di armi, tentativo di
omicidio,
sette omicidi, preparazione di esplosivi, esplosivi. « Ma non hanno
provato
nulla, e io sono innocente. Dopo 22 giorni che ero là , mi hanno fatto
la
macchina delle verità , e sono uscito pulito, e anche quasi tutti gli
altri.
Non ho mai detto una parola, se non per pregare» . Tre dei tredici
arrestati
dall'aprile scorso sono ancora in galera, ieri la polizia ha trovato
vicino
a un avamposto una grotta piena di armi pesanti, compresi missili
antitank;
i tredici erano, o sono, tutti amici di Sela, tutti sospettati di
essere
parte di una nuova gang di terroristi ebrei, implicata, dall'aprile
del
2001, nell'assassinio di nove arabi e nel ferimento di decine. E' una
banda
di giovani, gente marginale, sostanzialmente incolta, che non ha
ruolo né
mestiere dentro il movimento dei settler, ragazzi che vengono da
famiglie
povere ed estremiste e si sposano bambini. Le azioni di queste bande
di
ricercati sono soprattutto agguati notturni col fucile, alla maniera
delle
Brigate di Al Aqsa o di Hamas: nella notte, uno sparo contro un'auto
di
passaggio, un morto, due morti, chi piglio piglio. Sela Tor non solo
non ha
mai confessato ma nega recisamente tutto: « E' vero che ho
un'istruttoria
aperta, ma dalle nostre parti, a Hebron, insieme al regalo del Bar
Mitzva, a
tredici anni, ricevi con tanti auguri un conto aperto con la
polizia» .
La storia per Sela, che ha 22 anni, comincia il 14 agosto, a
mezzanotte,
nelle due stanze di Hebron - zona centrale di Avraham Avinu, dove
vivono le
50 famiglie ebree - dove sta dormendo con sua moglie (25 anni) e tre
bambine
dagli zero ai tre anni. Ma come, già tre figli a 22 anni? « Certo, e
non ne è
niente, avrò ancora tanti bambini, con l'aiuto di Dio» . Sfasciano la
porta,
è lo Shin Bet. « Al primo colpo mi precipitai dabbasso, non volevo che
le
bimbe vedessero. A mala pena mi sono infilato i pantaloni, la kippà e
il
talit (lo zucchetto e il manto di preghiera, ndr). Era giovedì , mi
hanno
portato con le mani legate dietro la schiena e senza camicia alla
centrale
di polizia di Gerusalemme, mi hanno messo a sedere su una sedia e
hanno
cominciato a interrogarmi. Mi hanno lasciato dormire qualche ora
soltanto
sabato. Quando mi hanno preso a casa, fuori di poliziotti ad
aspettarmi ne
avrò contati cento. Poi in prigione si davano continuamente il cambio
a
gruppi per interrogarmi e maltrattarmi. Ho visto il mio avvocato solo
dopo
22 giorni. Durante gli interrogatori ero legato, e quando non mi
interrogavano dicevano stupidaggini a voce alta nel mio orecchio.
Dopo
qualche ora mi portavano in cella, e poi indietro: la cella era un
bugigattolo nero con il bugliolo e il materasso. La porta era a prova
di
rumori e aveva uno spioncino da cui venivo controllato spesso, la
finestra
chiusa, la luce elettrica debole e sempre accesa. I muri, neri. Fra
gli
uomini dello Shabbach c'erano quelli incaricati di dirmi ô maledetto
assassino" e quelli che mi dicevano ô Ti vogliamo aiutare". Uno mi ha
detto:
se fai il bravo, ti diamo vacanza per il matrimonio di tua figlia
(che ha 3
anni, ndr) perché hai già sette condanne per omicidio, tante quanti
gli
arabi che hai ammazzato» .
Sela qui fa un suo primo commento molto conturbante: « Io di arabi non
ne ho
ammazzati, ma se qualcuno li ammazza, io non piangerò certo. Ma non
so
niente, non ho parlato con nessuno, e soprattutto non ho parlato di
nessuno,
mentre qualcuno ha parlato di me, e ha detto un sacco di
stupidaggini» . Chi
ha parlato di Sela Tor è Shahar Dvir Zeliger, pastore, sospettato di
omicidio plurimo, ora in carcere.
L'allarme della polizia israeliana comincia poco dopo il 3 aprile
2002,
quando a Hebron viene uccisa una neonata, Shalhevet Paz, presa di
mira in
testa da un cecchino palestinese mentre gioca al giardinetto. Pochi
giorni
dopo, in tre diversi attacchi, cinque palestinesi vengono feriti fra
Hebron
e Gerusalemme: nel corso degli ultimi due anni ci sono stati sette
uccisi e
svariati arresti fra gli ebrei. Sono storie di famiglia, di amici
intimi
fatti fuori generalmente sulla strada o con le bombe. Anche Sela ha
avuto il
suo migliore amico ucciso, e suo padre Ilan, un insegnante fondatore
del
sobborgo moderno di Hebron, alcuni anni fa fu accusato di avere
ucciso una
donna araba che, durante una manifestazione, gli aveva
minacciosamente
bloccato l'auto. Ma le testimonianze non concordavano, e Ilan fu
scagionato.
Il 29 aprile di quest'anno la vicenda del terrorismo ebraico si
impenna con
il ritrovamento di 4 chili di esplosivo nei pressi della scuola
femminile
araba di Atur, una periferia di Gerusalemme. Qui c'è la prima ondata
di
arresti, che comprende anche il fratello di Shahar Dvir Zeliger,
Shlomo. Ad
agosto viene arrestato il padre di Shalhevet Paz, la neonata uccisa
dal
cecchino e da qui si diparte la ragnatela in cui è rimasto preso
Sela.
Quando racconta, Sela fuma e fuma, e non mente; probabilmente omette
e nega,
ma non ha paura di dire cose che in Israele lo rendono inviso anche
alla
stessa gente fra cui è cresciuto, come testimoniano le miriadi di
uscite di
settler che nei giorni dell'inchiesta hanno parlato per condannare il
terrorismo. Pinkas Wallerstein, un duro che non cederebbe un
centimetro
della Cisgiordania, ha fatto personalmente un appello alla gente
degli
insediamenti perché parli, racconti, se sa: « E' per noi e per tutto
il
popolo ebraico una vergogna e un danno che esistano gruppi
clandestini che
uccidono, odiano, distruggono la nobile causa del popolo ebraico» .
Con lui,
la quasi totalità dei rabbini della West Bank, che citando l'alachà ,
la
legge ebraica, condannano qualsiasi uccisione quando non ci sia
pericolo di
vita. Sela è convinto che nessun arabo è innocente: « Non è una
questione
individuale, o personale, anche se potrebbe esserlo perché comunque
vengono
educati nell'odio di tutti gli ebrei, e ciascuno di loro è di fatto
pronto a
attaccarci, a ucciderci uno a uno. E' una questione legata alla Terra
e alla
fede: la Terra è nostra e, checché si parli di due Stati per due
popoli, non
possiamo in nessun caso suddividerla. Non perché Sela o chiunque
altro abbia
deciso così : il Rambam (uno dei fondamentali studiosi nella dottrina
ebraica, ndr) scrive nei suoi testi che è consentito, anzi, è
doveroso
combattere e, se necessario, uccidere senza lasciare vivo nessuno in
caso ci
si avvii a una guerra per la Terra» .
Ma non c'è già l'esercito che combatte agli ordini del Governo
democratico?
Non va bene, non basta? Sela Tor ride di cuore. Combattere, per Sela,
non ha
nulla a che fare con l'esercito israeliano, o con la difesa dal
terrorismo:
anzi, lui, nell'esercito, non ce lo hanno voluto. « Alla visita di
leva, uno
psicologo mi ha fatto le solite domande cretine, mi ha chiesto se ho
degli
hobby, che cosa faccio quando sono solo. Ho risposto: parlo con Dio.
Volevo
dire: prego. Ma lui mi chiede: ô E Dio ti risponde?". Allora io,
scocciato,
gli dico: « Tutto il mondo è la sua risposta» . Lui ancora insiste:
ô Senti le
voci?". E io: ô Ancora no, ma spero di arrivarci con l'aiuto di Dio".
Allora
mi hanno dichiarato matto, e mi hanno mandato a casa» .
Magari, gli suggerisco, avranno avuto qualche informazione riservata:
per
esempio, che i suoi genitori, fondatori di Kiriat Arba, sono
implicati in
avventure di estremismo. E che suo fratello Yeoshafat è il settler
simbolo
della « gioventù delle colline» , quel gruppo di pastori guerrieri che
fondano
gli avamposti sulle montagna e poi aspettano che l'esercito venga a
buttarli
fuori per ingaggiare una bella battaglia con lo Stato d'Israele
traditore.
Sela aveva seguito il fratello sul monte, nell'avamposto di Havat
Maor, un
luogo meraviglioso, pieno di fiori gialli e di sangue: « Là fu ucciso
Dov
Dribben, un nostro eroe nel 1999; ma lo Stato d'Israele non tiene
contro dei
nostri morti. Sono stato sgomberato dalla mia stessa casa, dalla mia
terra,
e da chi? Da quel governo che ha pensato bene di armare i palestinesi
contro
i suoi stessi cittadini. E io dovrei riconoscermi in questo Stato?» .
Sela non rifiuta il sionismo: soltanto, gli sembra che non abbia
nulla a che
fare con la democrazia, con l'oggi: « Sinceramente la democrazia mi
interessa
poco: un giorno Israele, com'è scritto nella Torah, avrà un re che
sarà
l'autentico custode della sua integrità . Oggi c'è un governo che non
ha a
cuore la sorte degli ebrei e dell'ebraismo, ha riempito il Paese di
non
ebrei e lo ha anche degiudaizzato. Per me, Tel Aviv non esiste, non
la
considero, dire male di chi vive là mi farebbe compiere un puro e
semplice
peccato di maldicenza. Preferisco non parlare di loro» .
Di che cosa parla Sela con gli amici del microcosmo della sua vita a
Hebron,
fra una visita alla grotta di Machpelà , la tomba dei patriarchi, e
una
passeggiata al venerdì sera per andare a trovare la famiglia e gli
amici a
Kiriat Arba? « Di cose belle, Bibbia, natura. Di politica non parlo,
non
leggo i giornali, la radio non mi interessa» . Sela Tor, accusato di
omicidio
plurimo anche se ora è in parte scagionato, è quello che, negli Anni
70, si
sarebbe chiamato un freak: ha studiato ecologia, ama la natura e le
camminate sopra ogni altra cosa, fa il falegname e prende un'aria da
santo
anche quando dice: « E' Lui che vuole che gli arabi spariscano del
tutto
dalla nostra terra, Lui che decide, non io» . Il fenomeno di cui fa
parte è
pieno di pericoli perché si tratta di gruppi chiusi e silenziosi,
esterni a
ogni movimento anche di settler, a ogni politica. Tor sorride
volentieri,
parla della sua bambina più grande con infinita tenerezza, poi dice
che « i
bambini e le donne arabe per lui non sono innocenti, sono arabi» e
che
comunque dell'esercito non ci si può fidare, della polizia nemmeno, e
neppure, per carità , del Moetzet Yesha, il consiglio che rappresenta
gli
insediamenti. « Dello Stato d'Israele, insomma, non ci si può fidare,
perché
non ha capito una cosa fondamentale: siamo in una guerra totale, in
cui devi
agire e basta, senza stupide chiacchiere politiche. Non so niente di
organizzazioni o piani, ma chi se ne occupa fa una buona azione. Gli
arabi
non sono colpevoli, soltanto, non devono esserci. E quando la legge è
piena
di debolezze, quando la politica perde la testa, quando i rabbini non
sanno
più dire la verità , allora bisogna agire. Anche se io personalmente
penso
che queste azioni sporadiche non servono» . Come, non servono? « Non
servono,
ma io non le condanno» . E lei sente di essere su una strada buona,
una
strada vincente? « Quando sarò segretario di Dio, te lo dico» .