Le foreste bibliche incenerite dal fuoco Distrutto il patrimonio bo schivo di Israele
lunedì 21 agosto 2006 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
Per un mese e quattro giorni Omri Bonè e Michael Weinberger, due
cinquantenni dottori in foresteria (Bonè un gentleman ecologo fisiologo di
fama internazionale, Weinberger un ecologo cowboy che ascolta ogni albero e
poi gli dà quello che gli ha chiesto) capo e vicecapo della sezione nord del
Kerem Kayemet Leisrael, l'organizzazione che dal 1948 ha piantato centinaia
di milioni di alberi sulla terra sassosa e brulla che Israele fu, hanno
spremuto tutta la loro forza, e adesso li aspetta la più dura battaglia:
ricominciare a piantare la foresta.
Durante la guerra con uno straccio davanti al viso, un cappello calcato per
proteggersi i capelli dalle fiamme, a bordo delle loro jeep hanno
letteralmente fatto l'impossibile: infatti, quando il fuoco cade dal cielo
sotto forma di katiushe degli Hezbollah e accende in dieci punti diversi
contemporaneamente gli alberi della foresta della Galilea che bruciano come
fiammiferi, il compito di individuare, circoscrivere, spegnere diventa
ciclopico; intanto, non per questo i missili smettono di cadere e la tua
vita è a rischio insieme a quella dei pompieri, dei lavoratori del KKL e dei
volontari che combattono per salvare gli alberi.
Il disastro è stato gigantesco: 1500 ettari di foresta piantata e 500 di
foresta originaria non ci sono più . Le bibliche montagne della Galilea,
soprattutto la foresta di Naftaly (sopra Kiriat Shmona, la città che ha
ricevuto da sola più di duemila missili in un mese)e di Byria, con quella di
Beit Keshet presso Nazareth, sono forate e violentate. Un panorama di
solchi, strisce nere e bollenti, punteggiate da mozziconi che furono aceri,
carrubi, cedri, grandi pini del genere canariense, cipressi dell'Arizona. Le
ceneri delle ginestre, del pistacchio, del lentisco piangono verso il cielo.
Gli animali più grandi sono in gran parte fuggiti, quelli piccoli, più
lenti, sono finiti bruciati. « Adesso abbiamo concluso l'operazione di
spegnimento - dice Omri - e oggi (domenica) qui al Nord faremo una riunione
tecnica per capire da dove ricominciare. Ma è un'impresa enorme; come è
stato enorme fronteggiare il fuoco con lo sforzo di 120 addetti, qualche
aereo per uso agricolo che rovesciava di continuo uno speciale materiale
francese - ne abbiamo finito in tre settimane la riserva per due anni -
partendo da una base di emergenza improvvisata nel piccolo aeroporto di
Makanaim. E ovunque andassimo, senza che li chiamassimo, sotto le katiushe
apparivano di notte e di giorno gli agricoltori o i cittadini dei villaggi
circostanti, si mettevano ai nostri ordini, ci portavano cibi, bevande e
abiti, stavano con noi fra le fiamme sotto i bombardamenti» .
Per un israeliano un albero è una vittoria personale contro una terra arida
e sassosa nel cuore del Medio Oriente desertico e assetato: le foreste della
Galilea, alte, silenti, sinonimo di pace e di tranquillità , erano state la
prima impresa che Ben Gurion, il fondatore dello Stato d'Israele aveva
lanciato per « far fiorire il deserto» , uno dei compiti storici del ritorno
alla terra promessa. Sul terreno ormai gessoso, conservavano la memoria
dell’ antica foresta originaria alcuni ciuffi autoctoni, testimonianza della
possibilità per gli alberi di prosperare. Ma l'impero ottomano aveva dato il
colpo di grazia al verde quando, a cavallo del secolo, aveva intrapreso la
grande impresa della ferrovia, utilizzando per le traversine un’ enorme messe
di tronchi tagliati sulle montagne,
Sessant’ anni fa lo stato ebraico aveva ricominciato tutto da capo. « Prima di
riuscire a costruire di nuovo le stesse foreste dovrà passare un bel po’ di
tempo. Il verde, dice Weinberger, riusciremo a ricrearlo abbastanza in
fretta ma per i grandi alberi, ci vorrà tanta pazienza. E, speriamo, anche
tanto aiuto da parte della comunità internazionale» .
Con Weinberger, sotto un diluvio di katiushe che seguitavano a colpire la
foresta sopra Kiriat Shmona in cui ci addentravamo, rannicchiati sul sedile
della jeep come se farsi più piccoli potesse proteggere dai missili, ci
siamo trovati proiettati contro il vetro per una frenata che non ammetteva
repliche: uno zikit, un piccolo camaleonte attraversava un sentiero ormai
fatto solo di cenere pesticciata. Weinberger è sceso, lo ha preso in mano e
l'ha accarezzato mentre i missili ci piovevano intorno con fragore, l'ha
accompagnato su un tratto d'erba che conservava ancora una parvenza di verde
e gli ha detto « vai» . « I cinghiali, le volpi, gli sciacalli, se ne sono
andati. Ricostruiremo la fauna e la flora con quello che c'è » .
Il presidente del KKL, Effi Shtentzler, che si dice speranzoso, sta avviando
una campagna di ricostruzione rapida: « La Galilea è molto cara anche ai
cristiani: io spero che vengano, vedano, apprezzino quello che abbiamo
salvato e ci aiutino a ricostruire. Il danno ecologico è gigantesco, ma il
destino di questa terra è diventare un polmone verde che soffi profumo di
eucalipti pini e pace su tutto il Medio Oriente» .