Le due tragedie parallele Chi ha ucciso Mohammed e Madhet?
mercoledì 4 ottobre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME - La tragedia del piccolo Mohammed al-Dura, di cui le televisioni di tutto il mondo hanno mostrato la morte in diretta durante uno scontro a fuoco fra israeliani e palestinesi, resterà con tutta probabilità il simbolo di questa insensata battaglia per il Monte del Tempio o Spianata delle Moschee che dir si voglia, una guerra inventata sull'orlo di un trattato di pace. Un simbolo controverso e confuso che, a chi non fantastichi di inaudite ferocie dei soldati israeliani, appare soprattutto come un'invocazione di pace. Il suo stesso padre, ricoverato in un ospedale di Amman con altri feriti palestinesi, si è rivolto ieri all'opinione pubblica « perché la vicenda di Mohammed non sia di incitamento alla vendetta, ma aiuti la pace» . La tv palestinese seguita a mandare in onda le strazianti immagini con scritte che recitano «ecco le imprese della "democrazia israeliana"». Ahmad Tibi, il parlamentare arabo israeliano che è anche consigliere di Arafat, ha definito Shaul Mofaz, il capo di Stato Maggiore israeliano, «un assassino di bambini». La confusione resterà un dato fondamentale della guerra di questi giorni, che il «Jerusalem Post» compara per violenza alla guerra del ‘48. Sulla vicenda di Mohammed l'esercito israeliano, Tsahal, seguita a prendere posizioni contraddittorie e convulse, ora in preda a sensi di colpa ora invece al risentimento di chi si vede accusato di una morte la cui responsabilità risiede in una serie di cause concomitanti. Ieri alcuni alti ufficiali facevano notare che il fuoco proveniva da cinque direzioni diverse, che il bambino e il padre erano a soli due metri dal gruppo di palestinesi che sparava pesantemente e che non si riesce ad andare a fondo delle responsabilità. C'è poi la posizione opposta, quella del vicecapo di Stato Maggiore Moshe Yaalon, che si è scusato per aver colpito il bambino, ha condannato l'uso cinico che i palestinesi fanno dei piccoli condotti o lasciati correre o utilizzati come guerrieri in mezzo alla strada durante gli scontri. Ha anche detto di essere «profondamente choccato». Poi, una retromarcia: di nuovo a sera l'esercito considera incerta la provenienza del fuoco, e non ha nessuna posizione ufficiale sull'argomento. Resta l'afflizione mista a una terribile sensazione che questa nuova, imprevista guerra quando ormai le parti erano pronte per la pace, non dia ragione a nessuno: chi ha sparato a Mohammed? Chi ha colpa quando un bambino muore per strada in uno scontro da cui avrebbe dovuto essere tenuto fuori a tutti i costi? Cosa dovrebbe fare un soldato quando, assalito da tutte le parti con armi da fuoco, pure si trova di fronte la più orribile delle possibilità , quella di uccidere un innocente? Non è questo il solo dilemma che si è presentato a Tsahal: l'altro episodio che stavolta lo morde direttamente nelle viscere è la morte di un altro quasi bambino, un soldato delle guardie di frontiera, un diciannovenne druso, il sergente maggiore Madhet Yossef. Yossef era di stanza alla Tomba di Giuseppe, un'altra delle tante pietre sacre che punteggiano questo panorama di sangue, dove, adiacente alla cittadina di Nablus, nell'Autonomia palestinese, vengono a pregare soprattutto i religiosi dei vicini insediamenti. In questo panorama di vite incrociate, palestinesi, coloni, soldati drusi di guardia a una tomba che fa parte della tradizione ebraica, già nei mesi scorsi erano morti uccisi dagli arabi sei soldati. Anche stavolta, domenica, i palestinesi hanno assalito a colpi di mitra e di bombe molotov la Tomba, e hanno ferito al collo Madhet. I suoi capi dicono che la ferita non sembrava tanto grave all'inizio, ma hanno chiesto subito soccorso. In una straziante agonia durata cinque ore il giovane druso ha perduto tutto il suo sangue fino alla morte perché i dimostranti non hanno lasciato passare i soccorsi, seguitando ad assediare la postazione militare. Jibril Rajub, il capo della polizia palestinese, sostiene di avere tentato di lasciar sgomberare il soldato quando però ormai era troppo tardi. Un'agonia terribile, in cui la mitica volontà di Tsahal di riportare comunque a casa i suoi soldati e di non abbandonare mai un ferito è stata pesantemente messa in questione. Non c'è stata nessuna decisione militare di tentare uno sfondamento per salvare il ragazzo. «Così - ha detto Meir Shitrit, uno dei capi del Likud - i nostri soldati ora pensano che nessuno giungerà in loro aiuto in caso di bisogno». La verità è che la situazione non è sotto controllo: gli ordini di Barak portano su di sé l'ombra costante di un processo di pace che resta il fine ultimo del primo ministro israeliano, e mentre la destra protesta per un'eccessiva morbidezza, la sinistra teme che le reazioni forti distruggano la possibilità di ritrovare la strada dell'accordo; i palestinesi rispondono ad autorità diverse, come dimostra la lentezza e l’inconsistenza del cessate-il-fuoco concordato fra le parti. I Tanzim di Arafat sparano, la polizia prima li ferma, e poi spara a sua volta. Non c'è che da sperare nell'ordine che potrebbe venire dagli incontri odierni.