Le due tentazioni del leader palestinese
mercoledì 13 giugno 2001 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
E’ stata, quella di ieri, la notte più lunga per Yasser Arafat.
George
Tenet, col volto rabbuiato, era già sulla strada per l’ aeroporto
quando ha
deciso, in base a notizie ricevute dal campo palestinese, di voltare
la
limousine e tornare a Ramallah. Quello che gli si preparava era
un’ ennesima,
drammatica discussione sul cessate-il-fuoco. Da tre giorni il capo
della Cia
cerca di riportare il Medio Oriente alla ragione. Ci è riuscito. I
palestinesi ieri, a tarda notte, hanno dato il loro assenso, pur con
una
forte riserva. Per Arafat la violenza è l’ unica arma di scambio in
una
situazione che lo vede ormai impigliato in questa lunga Intifada, e
d’ altra
parte i gruppi estremisti come Hamas e la Jihad islamica gli tengono
il
fiato sul collo.
Ariel Sharon ieri sera ha spiegato con una certa chiarezza dove si
colloca
Israele in questo momento, mentre da ogni parte si levavano contro di
lui le
proteste dei coloni: « Non siamo innamorati della proposta americana,
ma è
quello con cui abbiamo a che fare adesso, è la realtà con la quale
dobbiamo
confrontarci» . Di conseguenza, per la terza volta dal 22 maggio il
primo
ministro israeliano ha ribadito il cessate-il-fuoco e la
disponibilità , dopo
averne verificato la veridicità , di rimettersi al tavolo della
trattativa
sulla base del rapporto Mitchell. Nel frattempo, in base a una
trattativa
segreta con gli americani, Israele si è impegnato a congelare gli
insediamenti, clausola peraltro già contenuta nell’ accordo di governo
fra il
Likud e Shimon Peres. Non è semplice per Sharon mantenere questa
linea, ma
il primo ministro israeliano ha visto, anche in base a quello che
risulta
dalle indagini sull’ opinione pubblica israeliana, che ciò che più
paga sul
piano interno è ancora una scelta di pace, e che, rivelando le
intenzioni
aggressive di Arafat, lo mette in un angolo.
Per il leader dell’ Anp, difatti, il vero protagonista di queste ore,
la
situazione è complessa: il suo primo impegno per inaugurare un
autentico
cessate-il-fuoco, da lui dichiarato sotto la pesantissima spinta
europea e
americana, è mettere in prigione i terroristi di Hamas da lui
liberati
all’ inizio dell’ intifada; ma per i suoi giornali, e secondo la presa
di
posizione di alcuni dei suoi uomini, « l’ Autonomia Palestinese non è
pronta a
divenire il poliziotto di Israele» . E Abdel Rantisi, il capo di Hamas
a
Gaza, dice che secondo lui non si prospetta proprio all’ orizzonte
l’ idea che
Arafat possa tradire la sua organizzazione in questo modo. Una
promessa e
una minaccia per il Raí ss: se resti con noi sei un grande leader
militare,
altrimenti non solo perdi tutto il prestigio e il tuo significato
storico,
ma potresti finir male.
Anche gli uomini più vicini ad Arafat, quelli di al-Fatah, e i
Tanzim, non
sono tutti d’ accordo sul cessate il fuoco: ieri alcuni notabili,
intervistati dalla televisione degli Hezbollah, si sono detti
convinti della
necessità di continuare l’ intifada. E la tv e la stampa palestinese
sono
tornate ad attuare quell’ incitazione anti-israeliana che era stata
sospesa
al momento del cessate-il-fuoco da parte palestinese. E tuttavia,
nonostante
tutto ciò , nelle ore notturne le speranze che Arafat alla fine
dicesse « sì »
si sono rafforzate: è difficile infatti, per un leader che ambisca al
supporto internazionale e alla statura di statista mondiale, dire
« no» alla
tregua e seguitare a proteggere ciò che più fa orrore all’ intero
mondo
occidentale, compresi i suoi amici europei: il terrorismo. E’ in
questo
dilemma che Arafat si è dibattuto durante la nottata. Mai, dai tempi
in cui
fuggì a Tunisi, si è trovato in una stretta così fatale. Comincia
adesso per
lui una difficile prova di forza in cui il cessate-il-fuoco avrà un
valore
decisivo: se regge, nel giro di pochi giorni, si tornerà al tavolo
delle
trattative. Ma non bisogna sottovalutare che il capo palestinese è
ormai
lanciato in questa Intifada e che sono già in campo forze contrarie a
interromperla.