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LE CONSEGUENZE SUL MEDIO ORIENTE DI UNA NUOVA « TEMPESTA» Gli isra eliani temono gli Scud I governi arabi, la democrazia La guerra, per motiv i opposti, una prospettiva paurosa in tutta la regione

venerdì 9 agosto 2002 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME QUANDO gli Usa attaccheranno Baghdad (tutti gli analisti concordano che avverrà entro sei mesi), Israele sarà già pronto al peggio: gli accordi segreti infatti sono che George Bush dovrà avere avvertito l’ alleato mediorientale per tempo, cosicché lo scudo di difesa antimissilistico approntato recentemente sia al massimo dell’ allerta. Saddam infatti per prima cosa cercherà di suscitare compatto il consenso arabo eccitando il Medio Oriente con un attacco contro Israele. Il facile nesso Usa-Israele è capace di mettere in moto l’ odio di vasti settori della popolazione dell’ area. Saddam, come nel ‘ 91, attaccherà con i suoi missili, che si calcolano in poche decine; Israele stavolta sarà molto più attrezzato e determinato di allora nel distruggerli ancora a terra. Infatti il nuovo satellite che ha costruito l’ anno scorso probabilmente già lavora per identificare le rampe di lancio, anche se si tratta di rampe mobili; e la delusione ricevuta da Bush senior perché Saddam non fu destituito nell’ operazione « Desert Storm» e perché le ispezioni dell’ Onu sono riuscite a vanificare l’ accumulo di armi biologiche e chimiche, lo renderanno molto più determinato a non farsi mettere in un cantuccio come allora. Israele si sente in pericolo di vita, e reagirà appunto come qualcuno messo nell’ angolo. Il grande punto interrogativo per commisurare la violenza della prossima « Tempesta» risiede nella capacità balistica di Saddam (quanti missili ha in realtà ?) e nelle armi che è in grado e deciderà di mettere nelle testate. Se si tratterà di armi biologiche o chimiche devastanti come l’ antrace, il vaiolo, il botulino, la reazione sarà terribile. Se per caso poi, e gli esperti non lo escludono affatto, ha avuto il tempo di approntare un ordigno nucleare « sporco» , la reazione sarà devastante. Ma vediamo più in generale il sentimento del mondo arabo e iraniano. Sarà ambivalente, e come tale si manifesterà : da una parte Saddam è visto da tutti i paesi mediorientali come una miccia sempre accesa, un casus belli permanente, un raí ss infinitamente pericoloso, vendicativo e crudele verso i suoi fedelissimi, verso la sua stessa famiglia, verso gli altri leader dell’ area, e anche spaventosamente ambizioso. Egli vuole riportare l’ Iraq ai fasti dell’ Islam classico. Vuole essere il condottiero di un Islam all’ attacco dell’ Occidente. Quest’ ultimo tema è particolarmente sentito dall’ Iran, suo millenario e anche recente rivale, suo specchio religioso rovesciato (Saddam, anche se ultimamente prega in pubblico e ricorda continuamente l’ epopea islamica come fonte di ispirazione, è originariamente il polo laico dell’ egemonia mediorientale). La recente terribile guerra fra i due paesi ha lasciato profondi odii aperti. Dunque una rimozione politica di Saddam certo non lo disturberebbe, così come non disturberebbe il vicino giordano Re Abdallah II, che soffre del perenne pericolo al confine: e neppure i siriani, a loro volta mossi da ciclopiche ambizioni egemoniche. In secondo luogo, dall’ Arabia Saudita alla Giordania, tutti i paesi arabi, per quanto in stretti rapporti economici con gli Stati Uniti, temono due conseguenze sostanziali dall’ incendio dell’ area, e per questo annunciano agli Usa il loro rifiuto a fornire ad essere le basi per un eventuale attacco: innanzitutto, che le loro stesse popolazioni, eccitate da una guerra anti-occidentale, colgano un’ occasione di autentica rivoluzione interna contro le loro dispotiche signorie. Ma più in generale percepiscono la ragione profonda di un attacco definitivo contro Saddam: il leader infatti è nel mirino perché ha accumulato armi letali non convenzionali, perché tende con tutto se stesso all’ atomica, perché sprizza odio anti-occidentale in ogni discorso, perché finanzia il terrorismo internazionale e usa l’ esasperazione palestinese per i suoi fini, perché dona 25mila dollari a ogni famiglia di terrorista suicida. Tutti temi cui svariati paesi arabi, e anche l’ Iran, non sono affatto estranei. L’ Iraq fa parte di una famiglia dei « paesi del male» , come li chiama George Bush, le cui carte, se cadel la prima, saranno presto destinate ad afflosciarsi l’ una sull’ altra. Recentemente Bush ha lanciato un messaggio al popolo iraniano facendogli sapere che « gli Usa saranno il migliore amico» nel momento in cui non fosse più soggiogati dagli ayatollah. Da questo diretto rivolgersi a popoli lungamente vessati, impoveriti, trascinati dalle loro leadership in una continua discesa economica caratterizzata dalla mancanza di sviluppo, dall’ assenza di democrazia, da un furioso antagonismo contro gli Usa, contro Israele, persino contro l’ Europa, potrebbe, se accompagnato da una guerra autentica, terribile, che depone una leadership immarcescibile, venire un segnale irresistibile per parecchi popoli mediorientali.

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