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Le buone illusioni degli occidentali

domenica 1 marzo 2009 Diario di Shalom 0 commenti
Shalom, marzo 2009

Guardiamo alle incognite e alle minacce che vengono dal Medio Oriente inseguendo una politica del dialogo anche con chi il dialogo non lo cerca


Il tempo che viviamo è complesso e contradditorio, animato da illusioni e da buone intenzioni, un tempo che cammina su un filo, che si basa su un equilibrio precario e talora inesistente, su desideri che non corrispondono alla realtà.

Guardiamo agli ultimi eventi mediorientali, il summit del Cairo che poche settimane or sono ha raccolto quattro miliardi di dollari per Gaza, le aperture americane verso l'Iran, le mosse inglesi verso gli Hezbollah, l'ennesima apertura verso la Siria di Bashar Assad… Al Cairo la partecipazione era larghissima, le intenzioni erano le migliori: ricostruire, nutrire gli affamati, curare gli ammalati, creare lavori, strutture, e anche onorare il potere del sommo mediatore che ha raccolto al Cairo i donatori fra cui il nostro governo, ovvero Hosni Mubarak d'Egitto.

Un omaggio all'Islam moderato. Ma Hamas non è moderato, né lo è l'Iran che lo ha armato e istruito. Se si vuole ricostruire Gaza, il problema non è il denaro di cui tutto il mondo palestinese è stato irrorato e beneficato come nessun altro popolo al mondo, ma la gestione: dove vanno i finanziamenti? A chi dare, in presenza di avide forze estremiste, i contributi internazionali ingentissimi e
spesso veicolati dall'UNRWA, l'unica organizzazione dell'ONU costruita per sempre e senza condizioni per un solo popolo i cui
profughi devono essere conservati da un WWF assai militante invece di venire assorbiti come tutti gli altri profughi del mondo,
compresi gli 800mila ebrei cacciati dal mondo arabo, o i sette milioni di indu e di pakistani che hanno scambiato locazione geografica?

E come si configura realmente la crisi di Gaza? Il corrispondente del Daily Telegraph Tim Butcher visitando Gaza dopo la guerra ha voluto essere chiaro: “... sono rimasto stupefatto da come Gaza appaia cosmeticamente identica… una cosa è certa: Gaza
City del 2009 non è Stalingrado del 1944”.

E' dal '96 che l'Ong Human Right Watch ha predetto il disastro umanitario per Gaza, naturalmente dando la colpa a Israele per la
massima parte, ma senza poter nascondere la malcondotta dei gestori palestinesi. La crisi in progress è andata avanti costantemente mentre correvano gli aiuti. Intanto, la macchina della propaganda creava continue crisi umanitarie come quando una lunga coda di cittadini di Gaza apparve in tv in fila a lume di candela per mostrare al mondo la mancanza di benzina: Israele aveva appena
riempito i serbatoi controllati da Hamas, alla vigilia di un blocco legato a evidenti e cogenti motivi di sicurezza. Tony Blair commentava: “E' una situazione pazzesca. Noi spingiamo Israele a portare benzina a Gaza, e poi gli estremisti sparano e uccidono coloro che portano loro la benzina”.

Gli abitanti di Gaza sono di fatto in una continua tragica crisi determinata soprattutto da una gestione dittatoriale e integralista, che per esempio non si cura di sfruttare le immense riserve di gas che si trovano sotto il mare lungo la costa di Gaza. Gaza ha purtroppo una mortalità infantile alta, ma ha un'aspettativa di vita di 75 anni, una percentuale afalbetizzati del 92 per cento, una densità alta ma meno di quella del Principato di Monaco, di Hong King, di Singapore, luoghi che hanno fatto altro uso della loro gente.

Ma anche sperando che adesso il denaro internazionale compia il miracolo di bloccare la crisi endemica, non si può fare a meno di notare una specie di scapestrato atteggiamento giovanilistico del mondo intero, quando lancia denaro a destra e a manca senza sapere bene a chi affidarlo: Hamas certo non è il depositario adatto, dato che la sua ambizione non è umanitaria, ma bellicista. Il Fatah di Abu Mazen, a sua volta, non garantisce certo la stabilità necessaria a gestire la costruzione di un'economia affidabile né nel West Bank né a Gaza, e non ha, nonostante gli sforzi di Mubarak, il rapporto minimale con Hamas che consentirebbe di condurre il salvataggio dell'economia  consensualmente.

Dunque, speranze e buone intenzioni, e di altro non possiamo parlare se guardiamo alle intenzioni di Obama rispetto all'Iran: il
Presidente americano crede nella possibilità del dialogo, mentre a Teheran ancora poche settimane fa si svolgeva una conferenza negazionista, si ripetevano le indecenti minacce di distruzione di Israele e la maggior parte degli esperti danno per completata o quasi la preparazione della bomba atomica. Come andranno i colloqui, quando la storia ci insegna che il lodevole costume occidentale di parlare e parlare viene usato da anni dall'Iran per guadagnare tempo, lavorando sempre più in fretta e sfruttando tutti i minuti a disposizione per costruire l'arma atomica e i missili necessari a trasportarla?

Èanche un vero “wishful thinking” quello per cui Hillary Clinton ha chiesto alla Russia di smettere di aiutare l'Iran nei suoi obiettivi nucleari, quando essa ha appena finito di costruire per Ahmadinejad il reattore di Busher, e Putin tratta sempre con gli ajatollah la
vendita del sistema antimissile S300.

Che dire poi della dichiarazioni sempre di matrice obamiana del senatore Kerry, incaricato di riaprire i rapporti con la Siria?
Kerry sostiene che la Siria guarda a Occidente ed è pronta ad abbandonare l'asse con l'Iran e l'uso degli Hezbollah e del terrore in genere, ma l'Agenzia per l'Energia Atomica ha verificato che i residui nell'area bombardata da Israele erano davvero nucleari, e si testimonia da parte dei servizi segreti di varie parti del mondo che la Siria sta costruendo adesso una fabbrica di armi chimiche.

Intanto dovendo essere processato per l'assassinio di Rafik Hariri proprio in questi giorni dalla corte internazionale dell'Aja si dice che Assad baratti buone parole contro la possibilità che si chiudano gli occhi dell'Occidente di fronte a delitti che hanno cambiato la sorte del Libano?

E che dire del Libano, ora che l'Inghilterra dichiara di essere pronta a parlare con gli Hezbollah, ripetendo la formuletta secondo la quale dato che sono parte politica evidente e innegabile del Libano, bisogna superare il disgusto verso il loro atteggiamento delittuoso e la loro via fondamentalista, terrorista, antisemita, per stringerli la mano? Non si capisce che questo, lungi dal portare alla stabilizzazione del Libano con le elezioni del prossimo giugno, invece rafforzerà la parte che importa il potere iraniano e siriano a spese delle forze laiche del povero paese dei Cedri?

E così via… Siamo buoni noi occidentali, la nostra politica del dialogo è ispirata dal senso di colpa per la nostra storia di guerre e di sangue, che però ci impedisce di riflettere su quello di cui grandi orientalisti come Bernard Lewis ci avvertono sempre: chi è buono con i crudeli, diventerà crudele con i buoni. E comunque farà la figura del debole e del perdente.

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