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Lanci di sassi, spintoni in strada, ma le pattuglie miste israelo-pal estinesi mantengono l'ordine Pace armata nella libera Hebron La città araba in voca l'arrivo di Arafat

sabato 18 gennaio 1997 La Stampa 0 commenti
HEBRON NOSTRO SERVIZIO Una grande fortezza giallo-fango, un quadrilatero con un grande cortile interno, è la casa della nuova Hebron palestinese. Un tempo fortezza inglese, poi roccaforte del potere militare israeliano, nottetempo è stata sgomberata di tutte le masserizie del comando di Tsahal per lasciar posto all'autorità palestinese che ha preso possesso della città . E dall'alba, insieme ai militari di Arafat (l'arrivo di Yasser è atteso da un momento all'altro), sono giunti a frotte gli abitanti di Hebron che la penetrano e la conquistano stanza dopo stanza. E fra loro due tipi di ospite molto speciali: gli ex prigionieri che hanno fatto l'Intifada, e i bambini. Gli ex prigionieri salgono fino al terzo e al quarto piano, dove era situata la loro cella, o certe speciali camere di contenzione, piccole, strette, senza finestre, dove gli interrogati speciali venivano rinchiusi per giorni interi. E entrano eccitati ora che la porta è spalancata e che quelle mura sono di loro proprietà : come un assetato - dice ridendo Ahmad - cui abbiano finalmente dato dell'acqua da bere. I bambini fanno venire in mente le folle infantili della Germania Est che prendevano possesso dei negozi di giocattoli dopo la caduta del muro di Berlino: la conquista di un grande sogno proibito. Ridono, saltano, indossano magliette di lana con scritte americane. Uno con gli occhi neri e il golf , di nome Aiman Sharif esclama: È vacanza a scuola. E io sono qui, dove mio fratello Mohamed è stato picchiato. E ora questo posto è diventato nostro. No, non credo nella pace né ora né mai, perché gli israeliani sono nostri nemici e se ne devono andare tutti. Nadem, anche lui un ragazzino di circa 10 anni, è molto più possibilista: torno a scuola, fra tre giorni, chiederò se si può fare la pace con gli israeliani. Corrono su e giù per tutto l'edificio, negli uffici, nei depositi di armi, fra i cumuli improvvisati di masserizie portate da casa, soprattutto materassi e coperte. E si arrampicano, nel cortile, su un'altissima scala che corre lungo il muro fino alla bandiera palestinese issata alle 6,10 di ieri mattina dal comando dell'esercito. Jibril Rajuv, il generale di Arafat, è arrivato che era ancora buio: i soldati sono venuti con lui da Gerico, con i berretti rossi, i poliziotti da Daharya, con le divise blu. Intanto gli israeliani uscivano dalla città sulle jeep coi fari accesi, i camion carichi di masserizie, uscivano dalle colline nebbiose che compongono la città di 150 mila abitanti circa, la più tesa fra tutti i centri palestinesi. E completavano uno sgombero che tuttavia non è totale, perché in città resterà un forte presidio militare a protezione degli ebrei: dalla Grotta di Machpelà , quella dove si dice dormano i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, fino a poco sopra Beit Hadassa, il centro dei coloni, passando in mezzo al sukh, il mercato arabo, laddove vivono i 600 israeliani che ritengono un'irrinunciabile missione restare nel luogo più sacro alla storia ebraica dopo Gerusalemme. Ieri la consegna è trascorsa quasi senza incidenti, e le prime ronde in comune fra palestinesi e israeliani hanno avuto un andamento positivo. L'atmosfera appare tutto sommato rilassata, salvo che per un attrito prepotente di folle l'una contro l'altra in piazza Gross dove i due schieramenti si toccano e seguiteranno a sfiorarsi ogni giorno. Ci sono stati spintoni e lanci di bottiglie e di qualche sasso. Da una parte i religiosi ebrei, che ieri erano pallidi, affranti, con la camicia strappata sul petto come quando si soffrono gravi lutti; e le donne tristi e impaurite con le parrucche e i fazzoletti, e i bambini eccitati e consapevoli, che si torcevano i riccioli laterali; e le ragazze che gridavano agli arabi che ora avrebbero sofferto la punizione divina per aver strappato gli ebrei dalla loro città avita: . E dall'altra parte, la folla mediorientale, fittissima, formicolante, di giovani palestinesi col giubbotto nero, di bambini, di vecchi con la kefia, di donne coi grandi panieri in testa e di ragazzi che vengono a sbeffeggiare la sconfitta degli ebrei e gli gridano: . I pellegrinaggi palestinesi alla fortezza sono proseguiti per tutta la giornata. I coloni sono rimasti invece affacciati lunghe ore sulla linea dove ancora li proteggono i soldati. Sia Noam Arnon, che il rabbino Levinger, che David Wilder, i leader, quando c'è stato da parte araba il lancio di pietre, non hanno saputo contenersi: vedete? E questo è solo l'inizio dell'inizio] Ci attaccheranno, ci uccideranno] Guardatevi intorno, in alto sulle colline. Da lassù possono fare il tiro al piccione. Dunque c'è ancora molta tensione, e anche nel fair-play la polizia di Arafat e i soldati israeliani stanno bene attenti a controllare gli estremisti. Fra gli ebrei, si sa che sono stati fermati una dozzina dei più agguerriti. Fra i palestinesi, le pattuglie sono state zelanti nel reprimere le più provocatorie fra le consuete manifestazioni anti-israeliane, come ad esempio bruciare la bandiera. A monitorare la pace è atteso anche l'arrivo di 31 carabinieri italiani al comando del colonnello Pietro Pistolese. Il 67% degli israeliani secondo un'indagine Gallup è a favore dell'accordo e il 19 è indeciso: per Netanyahu è una buona base per iniziare il suo nuovo percorso. Lo sgombero di Hebron è intanto una di quelle pietre miliari destinate a cambiare la storia; a distruggere per sempre il sogno di , il Grande Israele; a costringere Arafat a misurarsi su una responsabilità grandissima, quella di mantenere la quiete e di rispondere alla grande apertura degli israeliani con un'altrettanto grande disponibilità anche concettuale. È vero che il 20% della cittadina rimane sotto sorveglianza ebraica. Ma Arafat capisce che i coloni non potevano essere abbandonati, e il massimo che si poteva fare, finora, dalle due parti, è stato fatto. Così Hebron ha dormito la sua prima notte palestinese. Fiamma Nirenstein

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