LA VITA QUOTIDIANA IN UN QUARTIERE ASSEDIATO DI GERUSALEMME Cercando la normalità sotto il tiro dei cecchini
giovedì 2 novembre 2000 La Stampa 0 commenti
GERUSALEMME
IL fatto è che Israele non vuole piegarsi a pensare che il sogno sia
finito. I ristoranti sono semivuoti, ma i ragazzi non rinunciano ai
pub e
alle discoteche; le strade sono tristi, si sta meno in giro, ma
persino
dagli insediamenti di Gaza, come Kfar Darom, la mattina sotto gli
spari che
provengono dalle case vicine la gente va in fabbrica o a scuola con
la
scorta dell'esercito, giubbotti antiproiettile e elmo in testa mentre
le
grandi palme al vento e il mare blu fingono che sia tutto normale;
per
andare a trovare parenti e amici che erano vicini di casa, si
affrontano
invece adesso lunghi viaggi, circumnavigazioni delle strade su cui i
palestinesi sparano o tirano pietre. Il proiettile è un oggetto
familiare:
si trovano decine di gusci metallici usati per terra a Ghilo come in
altri
quartieri di Gerusalemme e centinaia in tutti gli insediamenti. I
buchi nel
muro, segno di miracoloso scampato pericolo, sono diventati un'icona
da
mostrare agli amici come l'arredo dei sacchi di sabbia alle finestre.
Ma
nessuno ha voglia di essere in guerra, Israele stenta assai a
recuperare un
tono bellicoso nonostante giorno dopo giorno i generali o i politici
promettano che adesso è arrivato il momento di andare a fondo, di
accettare
l'idea di un’ escalation. E’ difficile odiare in democrazia: a scuola
è
proibito, al cinema pure, solo dove non ci sono scuole o cinema i
ragazzi
imparano a disprezzare l'avversario. Fa fatica mettersi a odiare, la
gente
di sinistra è abbattuta e troppo debilitata per mettersi a cambiare
idea, la
gente di destra non aveva sviluppato realmente nessuna teoria
alternativa al
processo di pace, e adesso è basita e non va oltre un poco
interessante « te
l'avevo detto, io» . A casa, si ricevono decine di telefonate da amici
preoccupati di sapere se sei vivo o morto, ma la gente giuoca basso,
risponde « Vieni pure a trovarmi; la vita è normale, ho comprato i
biglietti
per il concerto» ma mentre lo dice, sa che in un attimo
l'interlocutore
potrebbe ricevere una risposta tutta diversa. Basterebbe una di
quelle
zanzare di piombo, oppure un sasso ben tirato, o una molotov.
C'è la guerra in Israele? Ce n’ è un bel po’ . Si sentono le notizie
ogni
mezz’ ora, e la tv fornisce una quantità di dirette sugli eventi
bellici in
corso. Ma adesso comincia ad avere problemi di sicurezza per i suoi
inviati.
Gli ospedali sono in continua allerta. Le ambulanze circolano molto
più del
normale. La polizia è ovunque, e la paura degli attentati svuota i
supermarket, i centri acquisti che sono in genere un enorme polo di
aggregazione, i cinema, i teatri.. Le entrate del turismo sono calate
del 40
per cento. I lavoratori palestinesi non vanno a lavorare o non ce li
vogliono, e gli israeliani non entrano nell'Autorità Palestinese. Gli
immigrati africani o filippini sono molto richiesti persino dai
kibbutz di
sinistra. La paura è compagna silenziosa e vigile di ciascuno: non si
va da
soli a far benzina o a comprare la frutta nei negozi arabi , e in
certi
giorni nemmeno in compagnia. Ma soprattutto, non è solo il corpo
d’ Israele
che duole; è l'anima intera che non sa più tornare alla condizione di
un
Paese assediato, e anche di un Paese condannato dall'Onu ogni minuto,
incompreso e sostanzialmente sconosciuto, ritenuto pieno di colpe.
Piaceva
agli israeliani essere festeggiati perché la pace era per strada, ora
gli
ebrei devono spiegare e ancora spiegare com’ è che negli scontri
muoiono
anche i bambini benchè l'esercito spari solo contro chi spara.
Israele era
un paese immerso nel processo di pace da sette anni. I soldati di
oggi
avevano undici anni ai tempi dell'accordo di Oslo. I tre anni di
esercito
erano ormai un noioso esercizio fisico con grande uso di telefonino.
Adesso
la mamma di Dan Jacobi, un ragazzo di vent’ anni di stanza a Gaza,
davanti
alla città di Khan Junes da cui è continuo il lancio di pietre, di
bottiglie
molotov e da cui partono continui spari verso il campo militare deve
abituarsi di nuovo all'idea che il figlio è in pericolo di vita. E al
telefono, chiede solo:« Cos’ hai mangiato?» . Nel quartiere di Ghilo
ieri nel
cielo gli elicotteri, fra le sei e le sette di sera, mettevano in
scena la
loro apocalisse.
