LA VISITA DI D’ ALEMA IN SIRIA NON E’ PIU’ TEMPO DI LAWRENCE
mercoledì 23 febbraio 2000 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
NON è più il tempo di Lawrence d’ Arabia, del vagheggiamento
paternalistico
e coloniale di un mondo arabo buono che va protetto ad ogni costo
contro
quel residuo di Occidente cattivo in cui la sinistra più retrograda
identifica Israele. La visita di Massimo D’ Alema in Medio Oriente
avviene in
un momento molto difficile, tale da non consentire la ripetizione di
schemi
obsolescenti, che hanno fruttato all’ Europa un ruolo minore nella
costruzione del processo di pace. Mentre Israele, che pure al di là
di ogni
possibile dubbio da tanti anni cede terra contro pace, anche se in
ritardo
sul calendario dello stesso Barak, di nuovo il mondo arabo si è
compattato
in quell’ atteggiamento di rifiuto semisovietico che ha molte
responsabilità
rispetto alla pace: persino Hosny Mubarak, il vecchio alleato
egiziano, è
andato a solidarizzare con il Libano (e cioè con la Siria) colpito
nelle sue
centrali elettriche dall’ aviazione israeliana. E tuttavia anche il
rais sa,
e così D’ Alema, che gli attacchi aerei israeliani sono stati una
rappresaglia molto contenuta, attenta a colpire solo gli oggetti e
non le
persone. Gli hezbollah hanno ucciso nei giorni prima della
rappresaglia
sette soldati israeliani usando come rampe per le katiushe i villaggi
libanesi. Israele s’ è guardata bene dallo sparare su quei villaggi,
nonostante il trauma orribile di quei morti meno che ventenni uccisi
solo
per mantenere il climax con la Siria. Infatti Barak si prepara
comunque ad
andarsene dal Libano entro luglio al più tardi. Barak ha fatto
attenzione a
non fare vittime per evitare che si rompano le trattative con Assad
di
Siria, lo sponsor degli hezbollah e il vero capo dello politica
libanese.
Eppure, il nostro Primo Ministro condanna: cosa avrebbe dovuto dunque
fare
Israele, consentire agli hezbollah e alla Siria la sensazione
vittoriosa di
una totale acquiescenza? E’ inoltre una mistificazione far passare
con la
condanna a Israele l’ idea che gli hezbollah, inventori del primo
terrorismo
suicida fin dal 1983, estremisti islamici che prendono finanziamenti
dall’ Iran, longa manus della Siria, siano dei puri combattenti della
libertà
che agiscano solo per il bene del Libano.
Quanto alle trattative con Arafat, dopo tanti passi avanti nel
processo di
pace, è un tic d’ altri tempi dargli sempre ragione come a un bambino,
senza
rendersi conto che si tratta invece di un ottimo politico, e anche
molto
furbo: Arafat ha interrotto le trattative con Barak in violazione di
ogni
accordo poiché voleva ricevere subito, prima degli accordi
definitivi, Abu
Dis, sobborgo ad est di Gerusalemme. E’ suo diritto, certo, giocare
la carta
di una pretesa immediata per indurre un gioco successivo più vasto.
Barak,
d’ altra parte, che sa benissimo di dovergli cedere quel villaggio,
pure
vuole arrivare agli accordi definitivi senza puntare prima tutto ciò
che ha.
Arafat per la visita del Papa prepara una situazione quanto più
conflittuale
possibile. Il giuoco è duro e complesso, non c’ entra la volontà di
far la
pace, si tratta invece di una trattativa: e l’ Europa seguita a
inserirsi in
questa trattativa in modo sbilanciato e senza costrutto. E infine:
D’ Alema
sa benissimo che su « Tishrin» , il giornale ufficiale siriano, è
uscita una
tirata antisemita violentissima che accusa gli ebrei di essersi
inventati
l’ Olocalusto per ricattare il mondo ed estorcere denaro e simpatia.
In
confronto, Haider è un agnellino: e sì che l’ Europa lo ha condannato
a piena
voce per qualcosa che almeno in pubblico non ha mai detto.