« La verità sui numeri del conflitto» Una ricerca del centro-studi antiterrorismo ribalta le tesi attuali
giovedì 20 giugno 2002 La Stampa 0 commenti
Fiamma Nirenstein
GERUSALEMME
Il conflitto israelo-palestinese è molto dispari, si ripete spesso,
quanto a
numero di caduti: 1450 palestinesi e 525 israeliani, fino ad oggi. Da
questi
numeri si ricava l'impressione di un Davide palestinese contro un
Golia
israeliano dal grilletto facile. Ma uno degli istituti specializzati
più
stimati da tutti gli esperti di terrorismo, l'Istituto Internazionale
per la
Politica Antiterrorista (Ict), ha fornito ieri un'interpretazione
delle
cifre e del loro significato, che, anche se non rovescia, modifica
drammaticamente il loro significato. Come ci riferisce Ely Karmon,
professore e ricercatore presso l'Ict, i fatti stanno così : fra i
caduti
palestinesi, più del 50 per cento erano direttamente coinvolti in
azioni di
combattimento, e con questo, specifica Karmon, non si intendono
ragazzi con
una pietra in mano e neppure con una rudimentale bottiglia molotov,
ma
combattenti morti in azioni terroristiche, in agguati, in sparatorie.
In
senso molto generale, li potremmo vedere come « combattenti» di un
largo
esercito palestinese. Gli israeliani combattenti uccisi, ovvero
soldati o
poliziotti in azione, sono invece, relativamente ai loro civili,
molto meno,
ovvero il 25 per cento. Questo rende la differenza fra i civili
periti
nell'Intifada pari al 25 per cento.
Un altro dato molto importante è quello relativo al genere femminile:
le
donne palestinesi di ogni età uccise nel conflitto sono la metà delle
donne
israeliane; meno del 5 per cento degli uccisi palestinesi sono donne.
Fra i
non combattenti, i morti fra le persone sopra i 40 anni sono più che
doppi
rispetto ai morti palestinesi nella medesima fascia di età . Questi
dati
fanno vedere che la popolazione civile israeliana è stata più
colpita, in
quanto civile, di quella palestinese. Questo è un evidente risultato
dell'uso del terrorismo suicida, che colpisce intenzionalmente la
folla
indiscriminata.
Il numero dei bambini uccisi è più o meno identico: il terrorismo
palestinese non ha mai preso di mira un asilo o una scuola. Ma nella
fascia
giovanile troviamo un alto numero di giovani palestinesi, anche fra i
non
combattenti: in definitiva, mentre gli israeliani appartengono a
tutte le
fasce di età perché il terrorismo colpisce casualmente, i caduti
palestinesi
sono invece concentrati nella fascia fra i 13 e i 30 anni.
Questi risultati, ricavati da un lavoro lungo e paziente, racconta il
professor Don Radlauer, coordinatore della ricerca, provengono da
fonti di
stampa e da documenti forniti da organizzazioni umanitarie del campo
palestinese (per gli israeliani è stato molto più semplice data la
disponibilità di documenti incontrovertibili). E dimostrano una
tragica
tendenza: la partecipazione dei giovani palestinesi a situazioni di
scontro
in cui si espongono fino alla morte. Perché questo accade? La
risposta dei
ricercatori è molto angosciosa: la società palestinese indottrina i
giovani
ripetendo alla tv e in ogni occasione la sua approvazione per l'idea
del
« martirio» . La religione, il cui messaggio viene diffuso da voci
molto
estreme, alimenta questa tendenza. Si crea così una cultura in cui si
glorifica la scelta di morire: i giovani palestinesi si sentono
motivati ad
affrontare le forze israeliane cercando la morte. Naturalmente,
dicono i
ricercatori, le maggiori responsabilità ricadono sui leader che
promuovono
questa cultura.
In definitiva, dicono gli esperti dell'Ict, quello che la ricerca
mostra
chiaramente è che ciò che ripetono senza sosta i portavoce
palestinesi,
ovvero che gli israeliani attaccano deliberatamente la loro
popolazione
civile, è errata. E che gran parte delle perdite hanno cause
ideologiche
prima ancora che militari.