La vera guerra è tra Obama e Putin
Il Giornale, 05 settembre 2013
“Ve lavevo detto che non mi meritavo il Premio Nobel per la pace” ha ridacchiato ieri il presidente Obama durante una conferenza stampa a Stoccolma. Una battuta, una vacanza dall’ incessante dichiarazioni di principio che caratterizzano questi giorni di preparazione all’ ormai inevitabile attacco in Siria. Domani comincia in Russia il G20, Obama e Putin dopo la crisi su Snowden, non hanno in programma incontri diretti, ma il loro dialogo a distanza assorda la comunità internazionale. Sul Mediorente si misura in queste ore l’abilità dei due e il destino del mondo: Obama vuole affermare la forza morale degli USA, spazzare in poche ore ogni dubbio sull’egemonia occidentale su quell’area. Putin sa che il suo alleato è diventato imbarazzante ma può contare su una robusta coalizione sciita che non lo lascerà finché egli non li abbandonerà, e valuta in queste ore quanto la zampa dell’orso russo può essere ruvida, data la scarsa presentabilità dei suoi alleati Assad, Nasrallah, il capo degli Hezbollah, e Khamenei, l’ayatollah che domina l’Iran. Quindi, mantenendo le posizioni, apre qualche spiraglio al presidente americano.
Obama ha ripetuto ieri:“Il mondo deve agire”, dà per acquisito l’uso delle armi chimiche da parte di Assad, insiste che “l’approvazione ONU dell’azione militare non può essere una scusa per non fare niente”. Sfida il mondo:“Se ci sentiamo oltraggiati dalla strage degli innocenti, che faremo per contrastarla?”. A Washington imperversa la battaglia dei suoi ministri, Kerry, Hagel e Dempsey, per convincere la Commissione Esteri del Parlamento, e Kerry perora le posizioni del suo capo chiedendo quasi con le lacrime agli occhi: “Vi sentireste a posto con la vostra coscienza se Assad, a causa dell’inazione degli USA, potesse gassare di nuovo il suo popolo?”. Ormai è una questione di sopravvivenza morale. Obama spiega che non è lui ad avare messo la famosa “linea rossa”, ma la comunità internazionale, che qui mette il suo onore, e d’un solo fiato ricorda che è tutta sua l’autorità, non del Congresso, cui tuttavia chiede sostegno.
Putin, col solito volto guascone e pietroso nello stesso tempo, decide di fare titoli, mentre si capisce che non sa bene che fare: lui è certamente pronto a sostenere l’azione militare contro la Siria, se essa fosse sostenuta dall’ONU e se esistessero “prove al di là di ogni dubbio” che Assad ha usato armi chimiche. Ma tutti sanno che l’ONU non ha mai potuto utilizzare, per due anni, il meccanismo del voto contro Assad a causa del veto di Putin stesso. Eppure era noto che c’erano 100mila morti, e si sapeva chi li aveva fatti. Ma Putin ha subito spiegato come la pensa: Assad non ha mai usato armi chimiche, senza prove si tratterebbe di un’aggressione arbitraria, di un pretesto inammissibile. Allora, che cosa vuol fare Putin se Obama attacca? Prudente, ha informato che è sospesa la consegna dei missili S300 promessi a Assad. Se l’attacco avesse luogo, ha aggiunto,“abbiamo le nostre idee su quel che faremo e come lo faremo”.
Ma lo sa davvero? Putin ha mosso una grossa nave da guerra verso il Mediterraneo orientale, dove si trovano anche le navi americane. Una maniera di riaffermare una presenza padronale sulle onde: è la sua porta d’accesso a quell’egemonia sul Mediorente cui la Russia accede anche attraverso la base navale di Tartus, il centro del potere costale di Assad. In queste ore Putin si dibatte fra il vantaggio politico che gli dà la schermaglia con Obama, che lo mette al suo pari e gli fa conquistare consensi, e la eccessiva serietà dell’argomento. Fino a che punto la Russia può davvero legarsi al fronte siro-iraniano, che prepara la bomba atomica pericolosa anche per lui? E quanto Obama cercherà almeno la sua neutralità? La prossima puntata al G20.
In nome di periture gerarchie prestabilte si sta preparando una catastrofe.Questi sarebbero i forti governanti di Russia e America?