Fiamma Nirenstein Blog

LA TORTURA DELL'AMORE

venerdì 19 marzo 1999 La Stampa 0 commenti
PAGODE, monasteri, quiete statue di Buddha: e invece la Birma-nia, ora detta Myanmar, da oggi più che mai è diventata simbolo dei tormenti e delle ingiustizie che il regime militare, al potere dal 1990, infligge al suo popolo. Aung San Suu Kyi, la bella signora cinquantatreenne che nel 1991 è stata insignita del premio Nobel per la Pace per la sua lotta non violenta contro gulag, lavori forzati, torture, è serrata in una morsa di dubbio pari alla peggiore tortura fisica. Suo marito, Michael Aris, un accademico inglese con cui è sposata dal 1972, dopo che si laureò ad Oxford, è malato ormai all'ultimo stadio, e ha chiesto alla Giunta il visto per poter raggiungere, pur morente, la moglie in Birmania. La risposta è "no", accompagnata da un esplicito ricatto: se la signora vuole tanto vedere il marito, può andare lei a trovarlo, dice la Giunta, sperando così di espellere surrettiziamente Aung San. Da quando Madeleine Albright dichiarò al summit delle Nazioni Asiatiche di ritenere il regime direttamente responsabile della sua incolumità personale, i militari sognano di esiliare la leader non violenta. La si vuole cacciare usando la malattia mortale della persona più amata, o la rinuncia allo scopo di una vita, la lotta al regime. È tipico dei Paesi che violano i diritti civili finire per considerare l'uomo nient'altro che un oggetto i cui sentimenti sono uno spregevole ammennicolo. Era il meccanismo dei campi di concentramento. Fiamma Nirenstein

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